19 marzo 2013

Ed io che credevo fosse Bukowski

Barnum è un ragazzo che ho "conosciuto" oggi.
L'ho chiamato io, così. E' il titolo del libro che stava leggendo, ma questo l'ho scoperto dopo, l'ho soprannominato solo alla fine.
Nel mentre è stato "ragazzo che legge".
Prima ancora "ragazzo che va in giro con un libro in mano perché fa figo".
Prima ancora "ragazzo coi buchi sulla faccia perché forse un po' drogato sei pure tu".
Prima ancora "ragazzo che ti avvicini col modo di fare dei drogati stai lontano che non c'ho un euro".

Ricominciamo.
Ero alla fermata dell'autobus, in anticipo - tu pensa, dieci minuti dopo, e Barnum non l'avrei conosciuto -  che mi guardo intorno. E vedo questo tipo, che si avvicina. Mi scanso. Non viene verso di me, raggiunge la parte terminale della pensilina. Prima, in piedi, si appoggia ad essa puntando la scarpa sulla parete verticale. Poi, vedo che scivola, poggia la schiena, si rannicchia, apre il libro, fuma, e legge.
Mi appoggio anche io, in piedi.
E lo "sento". Sento la bellezza di quei gesti, la naturalezza con cui li compie, il mondo in cui si sta chiudendo - sì, beh, non troppo, il culo di una coppia di ragazze che gli passa davanti non gli sfugge, ma neanche per quei culi "c'è", realmente. Ha lo sguardo perso.
Torna alle parole.
Dal punto in cui sono non lo vedo in faccia, è coperta dal doppio cappuccio felpa e giacca, spunta solo un ciuffo mosso. L'odore del fumo che espira mi arriva, il vento è a favore, ma non è forte, va bene.
Cazzo, ad averlo un cellulare con la fotocamera, adesso.
Mi volto, guardo le altre mummie in attesa del 18. "Tirate fuori un cellulare, svelti! Non capite la perfezione di questo momento?!"
Mi limito a pensarlo: avrei avuto anche il coraggio di chiederlo, eh. Ma realizzo che lui mi avrebbe sentito, si sarebbe distratto, tutto sarebbe cambiato. Ed una figura di merda in meno nel corso della giornata non è che mi facesse male.
Continuo a fissarlo. Penso che forse potrei provare a disegnarlo. Così, come viene viene, giusto per ricordarmi di lui, giusto per imprimere l'immagine su un foglio, e nella mia mente. Seguo con gli occhi i suoi contorni, e i dettagli. Non sono in grado, no. Ma chissenefrega.
Mi piacciono le sue mani, vorrei rendergli giustizia. Sottili, affusolate, un po' ossute ma delicate, con la punta non pulitissima (forse fa l'operaio, o il giardiniere... o è semplicemente un outsider) e le unghie non troppo curate... mani essenziali.
Credo si senta addosso il mio sguardo, che veramente, ma veramente, non si è mosso da lui per un tempo infinito. Si alza, fa un piccolo giro lì intorno, ed io sono già pronta a salutarlo. Non direttamente, salutarlo in me. Invece torna, vede l'autobus prima di me - toh, non pensavo aspettassimo lo stesso - sale da dietro, io nel mezzo, con uno scatto raggiunge il sedile che è praticamente accanto a me, e mi frega il posto, lo stronzo.
Non mi giro, ma secondo me c'ha pure un ghigno stampato in faccia.
Apre il libro, riaffonda.
Guarda cazzone che manco volevo sedermi.
Ma mi piace che lo pensi, che m'ha fregato. E comunque è perdonato, perché torna a immergersi tra le pagine di questo libro di cui poco prima, finalmente, sono riuscita a vedere la copertina. Color giallo chiaro, con le lineette dell'edizione economica Feltrinelli, blu.
Barnum, di Baricco.
Ed io che credevo fosse Bukowski.

Condividiamo tre fermate di autobus. Io poi scendo, e mi dirigo verso la facoltà. L'autobus corre parallelamente a me, mentre riparte. Butto un occhio verso la metà, ma lui è seduto più indietro. Non giro la testa, lo saluto di spalle.

Ciao, ragazzo Barnum. E buon viaggio. Con quel libro, con quell'autobus, con quelle scarpe, con quella vita.


15 marzo 2013

Perché io valgo

Penso di non essere più disposta a fare sconti.
Ne parlavo qualche tempo fa con una mia amica, e per la verità tirò fuori lei l'argomento: le sarebbe piaciuto rincontrare i suoi ex, e dirgli tutto quello che all'epoca non era riuscita. Non permetter loro di calpestarla, mettere da parte, essere ignorata.
Riscattare la vecchia sé stessa, proteggerla, anche. Farsi rispettare, avendo imparato a rispettarsi.

Io credo di essere arrivata allo stesso tipo di consapevolezza. Non è un'esigenza maturata ripensando ai miei ex, non ce ne sono. Piuttosto, penso ai parenti approfittatori, agli sconosciuti che pretendono sulla base di nessun titolo, ai conoscenti che ti trattano in malo modo. Penso agli amici.
Sono stanca di rincorrere, di fare io il 60, 70 % o più del rapporto.
E troppe volte, per il "bene" di un'amicizia, o di un rapporto anche solo superficiale, mi son trovata a tacere, a sopportare i malumori, a far finta che mi andasse bene qualcosa che non lo era.
Penso di essere una persona carina, che quando vuol bene lo dimostra. Che quando vuol bene lo esplicita, forse anche troppo. Non credo di meritare rapporti impari, rapporti a metà.
Le persone più intime di cui mi son circondata, per me sono importanti, e lo sanno. Vorrei sentirmi importante anche io, per loro.
Perché lo sono, importante, in quanto persona. E merito rispetto. Altrimenti... altrimenti, non ho bisogno di briciole e ritagli.

Perché io... perché io valgo.