8 dicembre 2013

"...poi è bellissimo quando mi arrampico su di lui.

Stiamo così, dentro il buio, lui allunga il braccio, mi coccola il petto, un orecchio, i capezzoli, il cazzo. Ogni volta è una sorpresa, ogni volta è nuovo, ogni volta la prima volta... e io mi avvicino, parto dalle gambe, poi arrivo alla pancia, al petto. Mi arrampico, e lui a quel punto mi stringe forte, e io sento di essere arrivato nell'unico luogo dove avrei voluto fermarmi per sempre, da prima ancora di saperlo, e mi addormento quasi subito, io che ho passato gli anni dell'adolescenza a non sapere come prendere sonno."

Matrimoni, P. Paterlini

21 novembre 2013

Just of two of us

16 novembre.
Buio.
Caldo.
Coperte.
Sottovoce.
Braccia.

"Fai il cucchiaio grande o il cucchiaio piccolo?"

11 novembre 2013

Se c'è una cosa che è immorale è la banalità

Perché è meraviglioso scoprire qualcosa di nuovo di noi stessi. Qualcosa che ci stupisca e ci faccia rimanere senza fiato.

Il meraviglioso tubetto, M. Agnelli

17 ottobre 2013

Gloria siamo noi





"Io mi sento... come lei. Una persona sola... in attesa di un riscatto.
Mi sono sentito spesso solo, nella mia vita..."

"Anche io mi sento come lei..."

"Ah sì? Anche tu ti sei identificata?"

"Sì."

Silenzio. 
Il pieno di quel silenzio.

9 luglio 2013

La tua saldatrice

Nella calma del Rivotril mi sorprende la storia calma della tua assenza. Mi sorprende e mi rassicura, mi fa sentire di essere stato qualcosa per te, qualcosa di buono fino a un certo punto, fino al limite di un'altra vita, di un'altra donna da te amata. E qualcosa di cattivo, un abuso di spazio ma non tutto sprecato, un figlio che non sapevi dove mettere perché ti ricordava un passato doloroso, un figlio di troppo quando ne hai avuti altri nuovi, più belli, più bravi, più puliti, più giusti.
Vorrei sapere cos'è che mi tiene la mano quando nella stanza brillano le scintille della tua saldatrice, cos'è che ci ha spaventato così tanto della vita.


Pozzoromolo, L.R. Carrino

18 giugno 2013

Formiche, Dali, esistenzialismo - o anche, libere associazioni.

Tre giorni fa, di sera, sono stata invasa dalle formiche. Le ho trovate, nella mia camera padovana, dappertutto. Brulicavano sul parquet (vecchio, manco a dirlo...) le operaie, mentre quelle volanti erano attaccate al lampadario e alle tende, a gruppetti. Vi evito la descrizione della mia faccia schifata, i brividi lungo la schiena, l'orrore al pensiero che potevo ritrovarmele pure nel letto. Soprattutto, le sensazioni microzooptiche di sentirmele addosso, sulle gambe, tutto il tempo seguente.
Dopo aver aspirato e pulito e spruzzato l'insetticida, mi sono messa a fare delle ricerche, un po' per capire e prevedere il loro comportamento (se sarebbero tornate, dio non voglia!), un po' per conoscerle meglio.
Non mi era ben chiaro che fossero animali sociali: come per le api, le colonie sono strutturate in gerarchie: c'è la formica regina, l'unica femmina che si riproduce; i maschi che vivono solo una stagione, quella fatale dell'amore; le operaie e i 'soldato', che si occupano del mantenimento, cura, sopravvivenza e difesa della colonia stessa. Le regine e i maschi sono gli unici ad essere alati, perché compiono i cosiddetti voli nunziali: lasciano la colonia per sciamare verso l'esterno, verso luoghi dove deporre le uova, accoppiandosi in volo.
(E qui, ebbene sì, mi è scappata pure la lacrimuccia. Li trovo romantici, questi voli nunziali.)
Quella notte le ho pure sognate. Ogni tanto mi svegliavo per controllare di non averle intorno. Le ho avute in testa - e solo in testa, per fortuna, ché non sono tornate (ma non canto ancora vittoria, shhh) - per questi tre giorni. Ossessionata. Talmente sono convinta di ritrovarle, che ho le allucinazioni di vederle: ad ogni puntino nero sul parquet, ho un attacco di panico: mi avvicino, e mi sembra pure che si muovono. Mi avvicino ancora di più, ed torna ad essere un puntino. Fiùùù.
Mi sento un po' Dalì, la cui ossessione per le formiche (e ragni e insetti in generale) era talmente grande che anche dove le formiche non c'erano sicuramente - sulle sue tele, sui suoi quadri - doveva mettercele, disegnarle, dipingerle. Paventarsi davanti le proprie fobie.
E allora, ecco che anche io, continuando a vedermele davanti,  pavento la mia.

Essere una formica operaia, e non la regina.





































(Chi l'ha detto che nel destino di ognuno c'è l'amore? E perché stavo per scrivere, 'felicità'?... Perché continuiamo a cercarla, la felicitàmore, se nessuno ce l'ha promessa? E se fosse terra di pochi eletti? E se io fossi un semplice esemplare, a cui non sarà data? E se... ? E perché... ? E... cosa cazzo continuo ad aspettare, se. ?)

3 maggio 2013

But sometimes it hurts instead.

7. 34
Dormiveglia.
Il cuscino è bagnato.
Già, mi sono addormentata in lacrime, ieri sera.
E non appena ripenso al motivo, torno a piangere.

e cosa abbiamo da dirci? devo sentirmi dire che tra noi per te
non c'è altro che attrazione fisica? devo venire a casa col
magone? penso di aver preso già una bella botta stasera, la
aggiungo alle altre cose che non vanno.

Sedici giorni fa eravamo stesi su una coperta in Prato della Valle. Faceva caldo, era una giornata quasi estiva. Ci baciamo e parliamo e ci baciamo e parliamo e mi accarezzi i capelli, ci guardiamo negli occhi, noti (finalmente!) che li ho verde scuro, i tuoi sono verde acqua, bellissimi, e penso che tra noi niente funzioni meglio di quello che in psicologia viene chiamato rispecchiamento... il capirsi e sintonizzarsi con l'altro guardandosi negli occhi, appunto.
E poi quelle parole.
Scherziamo su non ricordo cosa, e ti dico "..tanto non siamo neanche una coppia! ..non siamo neanche innnamorati!". Tu ti fai un po' serio, e poi mi guardi. Non so se sto capendo. Sei sempre stato tu quello che voleva andarci piano, quello che sembrava meno coinvolto, per cui ti chiedo, tra lo stupito e l'incredulo, "ti stai innamorando?"
Prendi una ciocca dei miei capelli, la giri intorno al tuo dito, torni sui miei occhi e dici "Forse... ". Sorridi.

Quelle parole che io non ho retto.

Me le son portata dietro in questi giorni. Ho provato a vestirmici, a farle incastrare in qualche modo dentro in me. Non ci sono riuscita.
So, so che dovrei esserne felice, e lo sono, ma è molto più forte la paura. E con essa il fatto di sentirmi inadeguata di fronte a quelle parole, a quello che senti, il fatto di sentire che io non le posso ricambiare, e, soprattutto, il desiderio estremo di non volerti ferire.
Così ieri sera te ne ho parlato.
E tu... tu sei... incredibile.

".. mi odi?"
    "no, come ti ho detto le cose si fanno a due. 
    non è andata bene, non ho nulla contro di te."

Mi hai anche chiesto se io stavo bene, dopo che ti avevo ripetuto mille volte che mi dispiaceva, che mi dispiaceva davvero...

No, Fili, non sto bene.
E non sto bene perché mi fa male, tanto, far del male alle persone. Questa notte e questa mattina ne sono la testimonianza, continuo a piangere, e a piangere, e a piangere...
Non sto bene perché mi sento incapace di superare le nostre differenze. Chissà che cazzo vado cercando...
Non sto bene perché mi sento incapace in tutto. Nell'arginare la paura, nel provare a costruire qualcosa di bello, nel cercare di dimenticare le cose brutte nella mia vita...
Non sto bene perché continuo a cercare l'impossibile.
Non sto bene perché sto rinunciando alla possibilità di essere felice, decidendo anche per la tua rinuncia.
Non sto bene perché io questo "gioco" non l'ho capito, ho evitato di giocarci per tanto tempo, e forse avrei dovuto continuare a evitare, invece di fare danni.
Non sto bene perché in ogni caso, e da qualunque parte stai, è un gioco al massacro. Guardaci adesso.
Non sto bene perché ripenso a quello che mi hai donato in questi mesi...
Non sto bene perché penso alla paura che avrai la prossima volta che ti troverai a dire ad una donna che ti stai innamorando.
Non sto bene perché mi chiedi se sto bene.
Non sto bene perché non posso risponderti, non ti tocca anche consolarmi, no davvero...
Non sto bene perché penso a quanto ti sia costato chiedermelo, e nonostante questo l'hai fatto.
Non sto bene perché sei una delle persone più buone che io abbia incontrato, e non te lo meriti.

Non sto bene perché non stiamo bene in due. Ed è colpa mia.


(Chiudiamo con la solita frase del cazzo che si dice in questi casi?)
L'unica che sento e spero con tutto il cuore.

I wish nothing but the best for you.

(Brava Nicoletta, finale perfetto.)

19 marzo 2013

Ed io che credevo fosse Bukowski

Barnum è un ragazzo che ho "conosciuto" oggi.
L'ho chiamato io, così. E' il titolo del libro che stava leggendo, ma questo l'ho scoperto dopo, l'ho soprannominato solo alla fine.
Nel mentre è stato "ragazzo che legge".
Prima ancora "ragazzo che va in giro con un libro in mano perché fa figo".
Prima ancora "ragazzo coi buchi sulla faccia perché forse un po' drogato sei pure tu".
Prima ancora "ragazzo che ti avvicini col modo di fare dei drogati stai lontano che non c'ho un euro".

Ricominciamo.
Ero alla fermata dell'autobus, in anticipo - tu pensa, dieci minuti dopo, e Barnum non l'avrei conosciuto -  che mi guardo intorno. E vedo questo tipo, che si avvicina. Mi scanso. Non viene verso di me, raggiunge la parte terminale della pensilina. Prima, in piedi, si appoggia ad essa puntando la scarpa sulla parete verticale. Poi, vedo che scivola, poggia la schiena, si rannicchia, apre il libro, fuma, e legge.
Mi appoggio anche io, in piedi.
E lo "sento". Sento la bellezza di quei gesti, la naturalezza con cui li compie, il mondo in cui si sta chiudendo - sì, beh, non troppo, il culo di una coppia di ragazze che gli passa davanti non gli sfugge, ma neanche per quei culi "c'è", realmente. Ha lo sguardo perso.
Torna alle parole.
Dal punto in cui sono non lo vedo in faccia, è coperta dal doppio cappuccio felpa e giacca, spunta solo un ciuffo mosso. L'odore del fumo che espira mi arriva, il vento è a favore, ma non è forte, va bene.
Cazzo, ad averlo un cellulare con la fotocamera, adesso.
Mi volto, guardo le altre mummie in attesa del 18. "Tirate fuori un cellulare, svelti! Non capite la perfezione di questo momento?!"
Mi limito a pensarlo: avrei avuto anche il coraggio di chiederlo, eh. Ma realizzo che lui mi avrebbe sentito, si sarebbe distratto, tutto sarebbe cambiato. Ed una figura di merda in meno nel corso della giornata non è che mi facesse male.
Continuo a fissarlo. Penso che forse potrei provare a disegnarlo. Così, come viene viene, giusto per ricordarmi di lui, giusto per imprimere l'immagine su un foglio, e nella mia mente. Seguo con gli occhi i suoi contorni, e i dettagli. Non sono in grado, no. Ma chissenefrega.
Mi piacciono le sue mani, vorrei rendergli giustizia. Sottili, affusolate, un po' ossute ma delicate, con la punta non pulitissima (forse fa l'operaio, o il giardiniere... o è semplicemente un outsider) e le unghie non troppo curate... mani essenziali.
Credo si senta addosso il mio sguardo, che veramente, ma veramente, non si è mosso da lui per un tempo infinito. Si alza, fa un piccolo giro lì intorno, ed io sono già pronta a salutarlo. Non direttamente, salutarlo in me. Invece torna, vede l'autobus prima di me - toh, non pensavo aspettassimo lo stesso - sale da dietro, io nel mezzo, con uno scatto raggiunge il sedile che è praticamente accanto a me, e mi frega il posto, lo stronzo.
Non mi giro, ma secondo me c'ha pure un ghigno stampato in faccia.
Apre il libro, riaffonda.
Guarda cazzone che manco volevo sedermi.
Ma mi piace che lo pensi, che m'ha fregato. E comunque è perdonato, perché torna a immergersi tra le pagine di questo libro di cui poco prima, finalmente, sono riuscita a vedere la copertina. Color giallo chiaro, con le lineette dell'edizione economica Feltrinelli, blu.
Barnum, di Baricco.
Ed io che credevo fosse Bukowski.

Condividiamo tre fermate di autobus. Io poi scendo, e mi dirigo verso la facoltà. L'autobus corre parallelamente a me, mentre riparte. Butto un occhio verso la metà, ma lui è seduto più indietro. Non giro la testa, lo saluto di spalle.

Ciao, ragazzo Barnum. E buon viaggio. Con quel libro, con quell'autobus, con quelle scarpe, con quella vita.


15 marzo 2013

Perché io valgo

Penso di non essere più disposta a fare sconti.
Ne parlavo qualche tempo fa con una mia amica, e per la verità tirò fuori lei l'argomento: le sarebbe piaciuto rincontrare i suoi ex, e dirgli tutto quello che all'epoca non era riuscita. Non permetter loro di calpestarla, mettere da parte, essere ignorata.
Riscattare la vecchia sé stessa, proteggerla, anche. Farsi rispettare, avendo imparato a rispettarsi.

Io credo di essere arrivata allo stesso tipo di consapevolezza. Non è un'esigenza maturata ripensando ai miei ex, non ce ne sono. Piuttosto, penso ai parenti approfittatori, agli sconosciuti che pretendono sulla base di nessun titolo, ai conoscenti che ti trattano in malo modo. Penso agli amici.
Sono stanca di rincorrere, di fare io il 60, 70 % o più del rapporto.
E troppe volte, per il "bene" di un'amicizia, o di un rapporto anche solo superficiale, mi son trovata a tacere, a sopportare i malumori, a far finta che mi andasse bene qualcosa che non lo era.
Penso di essere una persona carina, che quando vuol bene lo dimostra. Che quando vuol bene lo esplicita, forse anche troppo. Non credo di meritare rapporti impari, rapporti a metà.
Le persone più intime di cui mi son circondata, per me sono importanti, e lo sanno. Vorrei sentirmi importante anche io, per loro.
Perché lo sono, importante, in quanto persona. E merito rispetto. Altrimenti... altrimenti, non ho bisogno di briciole e ritagli.

Perché io... perché io valgo.

2 febbraio 2013

Quando

Quando i nostri occhiali si scontrano e si appannano.
Quando me li sfili tu, delicatamente, lasciandomi nuda.
Quando mi trovo a pensarti.
Quando mi segui in cucina per fare il caffè, poi mi abbracci e mi volti, e del caffè ce ne dimentichiamo.
Quando mi baci, e chiudi gli occhi.
Quando io no, e ti vedo, piccolo e indifeso e abbandonato.
Quando ti dico che non devi ricambiare il mio regalo, e lo fai, e io sono contenta perché mi ascolti.
Quando ti dico che non devi ricambiare il mio regalo, e lo fai, e io sono contenta perché sei proprio etero.
Quando ti chiedo come stai, dopo che ti dico che non credo di essere innamorata di te.
Quando mi chiedi come sto, dopo che mi dici che neanche tu.
Quando ti sono grata perché sei sincero.
Quando ci preoccupiamo l'una dell'altro.
Quando sentiamo le stesse cose, e mi commuovo.
Quando ti dico che ti voglio bene.
Quando mi dici che mi vuoi bene.
Quando con-te-sto-bene, anche-io.
Quando "sei bello", "tu di più", "no tu di più", "no tu" ...
Quando sento una nota del tuo odore per caso, nell'aria, e mi va in cortocircuito il cervello.
Quando mi stringi forteforteforte, e fai quei versetti adorabili dei neonati.
Quando mi stringi forte, uomo.
Quando studio anatomia e le immagini di te si sovrappongono a quelle del libro, e mi trovo a ridere da sola.
Quando ti dico che non ho mai fatto l'amore.
Quando mi dici che neanche tu.
Quando impacciati ci accarezziamo.
Quando ti sogno.
Quando non ci sei e mi tocco teneramente e maldestramente, come fai tu.
Quando ti tocco, teneramente e maldestramente.
Quando mi lasci sbagliare.
Quando ti lasci esplorare.
Quando mi guidi.
Quando ti prendo la mano, e mi segui.
Quando le mie dita timide inciampano sui tuoi bottoni, e vieni con le tue in soccorso.
Quando no, e mi incoraggi.
Quando ti chiedo se queste cose le hai già sperimentate, e mi dici "alcune", e poi aggiungi "ma le emozioni, quelle no".
Quando imprigioni con i tuoi piedi i miei, incastrandoli insieme.
Quando gioco con i peli del tuo petto, e ti dico che li voglio anche io, e che magari cambio sesso...
Quando ci provi a non dir nulla per non darmi soddisfazione, ma poi ti viene fuori un NO! secco, che mi fa scoppiare a ridere.
Quando, prima di fare qualsiasi cosa, mi chiedi il permesso con lo sguardo, dolce e pudico, e aspetti un mio sorriso di assenso.
Quando sento la tua barba dove non avrei mai pensato, e arrossisco, e mi copro gli occhi con una mano perché mi vergogno.
Quando mi prendi la mano e la intrecci con la tua.
Quando mi insegni ad amare il mio corpo.
Quando mi insegni il linguaggio dei sensi.
Quando mi fai sentire imbranata e perversa.
Quando mi viene voglia di sentirti dentro me.

Smetto di chiedermi se sia giusto o sbagliato, e mi chiedo solo se mi fa stare bene.