28 luglio 2010

"Respirano il silenzio, senza cercare parole."

Ennesimo triangolino di pagina piegato. La pagina in questione è quella che contiene la frase, adoperata come titolo a questo post.
E' una mania, la mia: piegare le pagine più significative dei libri. Quelle che in un battito di ciglia voglio ritrovare, poi. Non un segno della matita: mi sembra di violarle quelle righe, di seviziarle con un bisturi. Così mi ritrovo a piegare l'angolo inferiore della pagina.
E stasera l'ho fatto diverse volte.
Eh sì, il libro è lui, sempre Baricco. Sempre Castelli di rabbia.
Ma non temete, l'ho finito. Almeno per un po' non sentirete più parlarne.
E' un "vizio" che ho, ormai, da diverso tempo. Eppure nello scaffale trovo ancora dei libri non piegati, che risalgono ai primi anni delle mie letture. Oddio, detto così sembra chissà quale illustre colta io sia. No, niente del genere. Mi piace leggere, è vero.
Ma solo quello che dico io.
Niente letture pesanti, pallose; niente libri che "si dovrebbero assolutamente leggere", perché "non puoi non conoscerlo"! E chi l'ha detto??? Io leggo quello che mi pare, o sennò non leggo per niente. Punto.

Solo un libro, tra gli altri, non ha pagine segnate. E non perché è precedente alla comparsa della mia abitudine, ma perché mi pare di trafugarlo. Non ho avuto il coraggio, e non ce l'ho ancora. Equivarrebbe a dire "questo sì, questo no". E di quel libro niente, e dico niente, può essere eliminato. Neanche una virgola. Neanche uno sbuffo di inchiostro scappato per caso, o per usura della stampante.
Quel libro che profuma di, dolcissima, cannella.

25 luglio 2010

Sui treni, per salvarsi, leggevano.

[...] Nel senso che forse, sempre, e per tutti, altro non è mai, leggere, che fissare un punto per non essere sedotti, e rovinati, dall'incontrollabile strisciare via del mondo. Non si leggerebbe nulla, se non fose per paura. O per rimandare la tentazione di un rovinoso desiderio a cui, si sa, non si saprà resistere. Si legge per non alzare lo sguardo verso il finestrino, questa è la verità. Un libro aperto è sempre la certificazione della presenza di un vile - gli occhi inchiodati su quelle righe per non farsi rubare lo sguardo dal bruciore del mondo - le parole che a una a una stringono il fragore del mondo in un imbuto opaco fino a farlo colare in formine di vetro che chiamiamo libri - la più raffinata delle ritirate, questa è la verità. Una sporcheria. Però: dolcissima. Questo è importante, e bisognerà ricordarlo, e tramandarlo, di volta un volta, da malato a malato, come un segreto, il segreto, che non sfumi mai nella rinuncia di nessuno o nella forza di nessuno, che sopravviva sempre nella memoria di almeno un'anima sfinita, e lì suoni come un verdetto capace di far tacere chicchessia: leggere è una sporcheria dolcissima. Chi può capire qualcosa della dolcezza se non ha mai chinato la propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro? No, quella è la sola e la più dolce custodia di ogni paura - un libro che inizia. Così che, insieme a migliaia di altre cose, cappelli, animali, ambizioni, valigie, soldi, lettere d'amore, malattie, bottiglie, armi, ricordi, stivali, occhiali, pellicce, risate, sguardi, tristezze, famiglie, giocattoli, sottovesti, specchi, odori, lacrime, guanti, rumori - insieme a quelle migliaia di cose che già sollevavano da terra e lanciavano a velocità prodigiose, quei treni che rigavano avanti e indietro il monfo come ferite fumanti si portavano dentro anche la solitudine impagante di quel segreto: l'arte di leggere. Tutti quei libri aperti, infiniti libri, come finestrelle aperte dentro il mondo, seminate su un proiettile che offriva allo sguardo, solo si avesse avuto il coraggio di alzarlo, lo sfavillante spettacolo del mondo fuori. Il dentro del mondo e il mondo di fuori. Il dentro del mondo e il mondo di fuori. Il dentro del mondo e il mondo di fuori. Il dentro del mondo e il mondo di fuori. Alla fine si finisce così, che in un modo o nell'altro ancora una volta, si sceglie il dentro del mondo, mentre tutt'intorno ti sferraglia la tentazione di farla finita una buona volta e di rischiare a vederlo, questo mondo di fuori, cosa mai sarà, possibile che sia davvero così pauroso, possibile che non se ne andrà mai questa vigliacca paura di morire, di morire, morire, morire, morire, morire, morire? [A.Baricco, Castelli di rabbia]

Schifezze - un paio nella vita.

Mi riallaccio al post precedente.
Quando lessi quello stralcio tratto dal libro di Baricco, subito mi si inumidirono gli occhi. Pensai alla mia patetica vita, e al fatto che "sarei morta di nostalgia per qualcosa che non avrei mai vissuto" (altra citazione baricchiante), cioè per le schifezze che -non solo non ho mai/ancora fatto- ma che probabilmente non mi sarebbe mai capitate di fare. Perchè io non sono una che fa schifezze. Non sono una che riuscirebbe a dormire, dopo averle fatte. Perchè non mi sentirei pulita. E questo mi fa pensare ad una frase che mi ripete spesso mia mamma .. "tu non mangeresti per non dover lavare i piatti". Il che non è completamente vero, perchè io mangio, eccome. Il problema è che mangio, o mangio più volentieri, se c'è qualcuno che fa i piatti al posto mio. Ergo le schifezze le farei anche, ma ci dovrebbe essere qualcuno che le pagasse al posto mio.
E, oltre a dover pagare, dovrebbe anche avere il coraggio di farle, di sporcarsi, di imbrattarsi.. avere il coraggio che manca a me. Di fare una schifezza. Di toppare, di sbagliare, di uscire dalla "diritta via", di peccare, di macchiarsi.
Poi, in effetti, ripensai che in un periodo della mia vita ci andai molto vicino al fare una schifezza. Sarebbe stata davvero una porcheria.
Sorrisi.
Contenta di averle ancora, entrambe, le due schifezze che mi spettano.

24 luglio 2010

Schifezze - rispose.

- Cosa sono le schifezze?
- Sono le cose che nella vita non bisogna fare.
- E ce n'è tante?
- Dipende. Se uno ha molta fantasia, può fare molte schifezze. Se uno è scemo magari passa tutta la vita e non gliene viene in mente neppure una.
[...]
- Mettiamola così. Uno si alza al mattino, fa quel che deve fare e poi la sera va a dormire. E lì i casi sono due: o è in pace con se stesso, e dorme, o non è in pace con se stesso e allora non dorme. Capisci?
- Si.
- Dunque bisogna arrivare alla sera in pace con se stessi. Questo è il problema. E per risolverlo c'è una strada molto semplice: restare puliti.
-Puliti?
- Puliti dentro, che vuol dire non aver fatto niente di cui doversi vergogare. E fin qui non c'è niente di complicato.
- No.
- Il complicato arriva quando uno si accorge di avere un desiderio di cui si vergogna: ha una voglia pazzesca di qualcosa che non si può fare, o è orrendo, o fa del male a qualcuno. Okay?
- Okay.
- E allora si chiede: devo starmene a sentire questo desiderio o devo togliermelo dalla testa?
- Già.
- Già. Uno ci pensa e alla fine decide. Per cento volte se lo toglie dalla testa, poi arriva il giorno che se lo tiene e decide di farla quella cosa di cui ha tanta voglia: e la fa: ed eccola lì la schifezza.
- Però non dovrebbe farla, vero, la schifezza?
- No. Ma sta' attento: dato che noi non siamo calzini ma persone, non siamo qui con il fine principale di essere puliti. I desideri sono la cosa più importante che abbiamo e non si può prenderli in giro più di tanto. Così, alle volte, vale la pena di non dormire pur di stare dietro a un proprio desiderio. Si fa la schifezza e poi la si paga. E solo questo è davvero importante: che quando arriva il momento di pagare uno non pensi a scappare e stia lì, dignitosamente, a pagare. Solo questo è importante.
Pehnt stette un pò a pensare.
- Ma quante volte lo si può fare?
- Cosa?
- Fare schifezze.
- Non troppe, se si vuole riuscire a dormire ogni tanto.
- Dieci? - Magari un po' meno. Se sono vere schifezze, un pò meno.
- Cinque?
- Diciamo due... poi se ne scappa qualcun'altra...
- Due?
- Due. Pehnt scese dalla sedia. [...] Tirò fuoi da una tasca della giacca un quadernettoo viola. [...]
Lentamente e con meticolosa fatica Pehnt iniziò a scrivere:
280. Schifezze - un paio nella vita.
Stette un attimo a pensare. Andò a capo.
Poi si pagano.
[A. Baricco, Castelli di rabbia]

23 luglio 2010

Nessun dolore

Tre sere fa l'ho rivisto.
Ci siamo incontrati ad una festa di compleanno, seduti allo stesso tavolo.
La sua ragazza di fronte a me, lui alla sua destra.
Lui, il ragazzo per cui tempo fa mi ero presa una bella sbandata. Beh diciamo molto tempo fa, possiamo dire che la cosa risale al periodo adolescenziale, anche se gli "strascichi" si sono fatti sentire a lungo, riacutizzandosi quando ci rivedevamo o quando, un paio di anni fa, una mia amica, la mia migliore amica, ci si è messa insieme. GELOSIA VERDE. Ma lei non era al corrente della mia ex (poi mica tanto) cotta, quindi non gliene faccio una colpa.
Fatto sta che non avrei mai pensato di dimenticarlo, di toglirmelo completamente dalla testa. Ho sempre creduto che in qualche modo gli sarei rimasta legata, sempre...
E invece succede. Non sai come, non sai quando è accaduto, ma succede. Lo rivedo e niente, non sento niente. Niente. Nessuna emozione, nessuna attrazione, nessun ricordo che riaffiora, nessuna farfalla nello stomaco. Anzi, ci mettiamo a scherzare come amici di vecchia data, e io mi sento tranquilla, sicura di me, simpatica e spontanea tanto che coinvolgo anche la sua ragazza nei nostri discorsi, e insieme ridiamo, beviamo e passiamo una piacevole serata. Lei è simpatica, a modo, una bella persona, non mi dispiacerebbe diventarne amica (sono impazzita del tutto, già!).
Mi sento anche un pò strana e in colpa di non sentire niente, se ripenso a quanto spazio gli ho dato nei miei pensieri, nei miei sogni, a quanto ho fantasticato sul noi, quel noi di cui ero perfettamente consapevole l'impossibilità ad essere.
"non sento niente no, adesso niente no, nessun dolore... non c'è tensione, non c'è emozione, nessun dolore..."
Non l'avrei mai detto. Succede.

13 luglio 2010

Ladro cleptomane.

Oggi mi sono fermata a riflettere sui dettagli. Sull'enorme valore che hanno. Piccole ma significative differenze: ad un occhio inesperto sembrano sottigliezze, ma a ben vedere nascondono diversità immense.
Prendiamo l'atto del rubare: l'atto è il medesimo, sia che si tratti di furto commesso da un ladro, sia che si tratti dell'espressione di un disagio da parte di un cleptomane. E vi sembra che si tratti ancora dello stesso atto? Possiamo mettere sullo stesso piano chi ruba e chi ha un problema psicologico?
Spesso vengo tacciata, specialmente dai miei amici, di pignoleria. Di essere una precisa, un pò perfettina. Ebbene sì, lo sono e non me ne vergogno. Nella professione che ho scelto per il mio futuro, essere una psicologa appunto, i dettagli sono fondamentali. E' tutto lì. Piccole incrinazioni della voce, i ritardi, l'esitare nella risposta, il divagare, i lapsus, la scelta delle parole, le emozioni esternate, sono tutti segni che devono essere indagati. Ma prima di tutto devono essere captati. Individuati.
Siamo come degli investigatori... dobbiamo esaminare sì la situazione in toto che ci si presenta davanti, ma per definirla, per comprenderla, dobbiamo andare alla ricerca degli indizi. Come dei cani che aguzzano le orecchie, che fiutano il vento. Un piccolo dettaglio, che all'apparenza potrebbe sembrare irrilevante, ha la facoltà di poter cambiare completamente il quadro. Affascinante, no?
E per questo ci vuole un buon spirito di osservazione: come per i detective, appunto. Non tralasciare niente, non farsi sfuggire niente. Osservare, senza influenzare, senza condizionare, ascoltare così come ci viene presentato stando però ben attenti, ben pronti a coglierlo. A cogliere lui, IL dettaglio.
Oh sì. Amo i dettagli.

6 luglio 2010

Iperprotezione

Mamma, partoriscimi
espellimi
lasciami andare.
Liberati di me.
Io sono pronta.
E' l'ora.

1 luglio 2010

Quanta vite passano in un libro?

Stringo tra le mani un libro preso in prestito dalla biblioteca. Comincio a leggerlo e, pur essendo un romanzo rinomato, non mi colpisce particolarmente; non per questo demordo, e continuo la mia lettura. D'un tratto mi fermo, e sfoglio le pagine fino ad arrivare all'ultima, dove vengono segnate le date-limite per la restituzione. E comincio a leggere: la prima risale all'ottobre 1988, poi novembre '88, febbraio '89, e da lì a seguire per altre quattordici date, fino ad arrivare all'ultima, la mia. 8/7/2010.
Così un pensiero.. chi sono queste persone che mi hanno preceduto? Erano giovani, uomini, ragazze, casalinghe con la passione per la lettura, professori in pensione, studenti incuriositi dal titolo? Che pensavano di trovare, scegliendo un libro chiamato La vita è altrove? Cosa speravano, dove volevano essere a vivere la loro esistenza? Cosa li ha spinti a credere che la loro vita non fosse questa qui, quella che si ostinavano a portare avanti ormai da tempo, dal momento che è l'unica che abbiamo? Cosa gli è capitato per indurli a riflettere sul fatto che potevano essere più felici altrove?
E siamo a quota diciassette. Ma magari lo hanno anche prestato a loro conoscenti, ad un parente, ad un amico, prima di riportarlo indietro al suo posto, pronto per sgattaiolare di nuovo ed essere toccato da altre mani, a respirare altri odori.
E pensiamo a chi il libro lo ha maneggiato in quella biblioteca dal lontano 1988. Impiegati che lo hanno spostato, perso, ritrovato, che ne hanno rincollato i bordi, classificato, messo in magazzino per poi essere rispolverato, impiegati che si sono succeduti nel tempo, lasciando su di esso piccole tracce impercettibili che ne fanno la storia, che ne segnano il percorso, così come incastrate vi sono rimaste pezzi di vita dei lettori che se lo sono passato, una briciola, una ciglia, una lacrima ormai secca, un respiro. Lì fra le parole, a fargli compagnia, fra una virgola ed un apostrofo ormai sbiadito.
E chi ha reso queste parole, libro? Pensiamo a chi ci ha lavorato, a chi ha avuto l'idea, a chi lo ha scritto, all'autore, ai suoi famigliari, amici, persone care che ne hanno più o meno influenzato la stesura; pensiamo a chi lo ha tradotto, a chi lo ha battuto a macchina, a chi lo ha materialmente prodotto. Pensiamo a chi lo ha pubblicato, a chi lo ha distribuito, a chi lo ha traportato per consegnarlo in biblioteca, a chi lo stringe fra le mani adesso. A chi lo stringerà domani.
Infinite. Sono infinite.