21 novembre 2014

quella cosa lì.

quando hai conosciuto la bellezza di vivere una persona per giorni, svegliartici, addormentartici, respirare i vostri odori, le vostre paure, le speranze, la condivisione dell'entusiasmo e dei malumori,
delle scopate, delle uscite, del "divertimento", dei film, dei libri e serie tv, del cibo, non te ne fai un cazzo. sono solo palliativi.
io rivoglio quella cosa lì.
non lui - lui mi ha ferita da cani.
rivoglio solo quell'intimità lì.

22 giugno 2014

Lettera ad un amore forse mai nato

ore 22.00, 21/06/2014

Due settimane.
Due settimane di merda.

Non ti ho mai scritto una lettera. C'ho provato, tempo fa, per il mio compleanno, ma poi... mi era sembrata forzata, incompleta, inconcludente... ho rinunciato.

Ti scrivo adesso, in questa occasione "brutta". Non mi viene altro termine. Non so tu, ma io ho passato due settimane brutte.
Ci siamo dati quest'assurdo appuntamento, a 15 giorni di distanza. Due settimane di silenzio, dopo esserci sentiti TUTTI i giorni per otto mesi di seguito.

Mi sei mancato.

Sai la prima cosa che ho fatto, appena risalita a casa, domenica? Ho preso tutte le cose che ti riguardavano, e le ho seppellite nella "tua" scatola. L'ho fatto prima che cominciassero a far male, l'ho fatto trattenendo il fiato. Il giorno dopo mi sono accorta che ne mancavano di cose... la piastrina, il pezzo del tuo pigiama, il tuo spazzolino in bagno.

Ho avuto voglia di chiamarti, la notte soprattutto, quando mi addormentavo piangendo. E ho avuto voglia di picchiarti, per farti male tanto quanto me ne stavi facendo. Ho avuto voglia di scoparti, di scoparti e di farmi scopare. Ho avuto voglia dei tuoi abbracci, di dormirti addosso, della tua barba, di parlare col tuo cazzo. Ho avuto voglia di te che giocavi con le mie tette, di te che mi chiami "terruncella". Ho avuto voglia del tuo "ciaO" al telefono, della tua voce...
Ho avuto voglia di TE.

Ma ho resistito.
L'ho fatto per noi, come ogni cosa. L'ho fatto perché avevi bisogno di riflettere, e soprattutto, perché sapevo che era la cosa giusta.
Non andavano bene le cose, ultimamente. E quand'è così, andare avanti per inerzia non è salutare. Avevamo bisogno di fermarci e di prenderci un momento per noi stessi.
Mi è servito. L'ho odiato per tutto il tempo, ma forse è servito anche a me. Non tanto per farmi "decidere" (la frase di un libro che mi piace dice "non c'è niente da decidere, c'è solo da accettare"), quanto a farmi vedere forse dove avevo sbagliato anche io.

Credo che mi stavo perdendo, in questo rapporto. Il che è bello, ma non è salutare, per me. E se negli ultimi tempi ho dato "di matto", portandoci a litigi estenuanti, è perché stavo facendo da troppo tempo anche la tua parte, e ne ero - legittimamente - stanca, ma era una cosa che avevo scelto e fatto io.

Quello che sto cercando di dire è che TI AMO.
Ma non può bastare il mio amore, per entrambi. Non può essere l'unico carburante, l'unico motore della coppia. C'è bisogno della tua parte, se vorrai. Se pensi che ne valga la pena.
Ne ho bisogno io, ho bisogno di sentirmi amata e ricambiata, è nel dare e ricevere che si genera l'amore, dare tutto e basta è masochismo, è il non amare sé stessi.
"Ama il prossimo tuo come TE STESSO."
Negli ultimi tempi, facendo anche per te, non mi sono amata. Non mi sono rispettata, e questo non va bene. 
Queste due settimane mi sono servite perché sono state un primo passo verso questo, verso il rispetto di me. E sai, mi sono servite anche per capire che se tra noi è finita-finita, comunque sopravviveremo. 
Staremo bene, tra qualche tempo, se ci lasceremo.
E staremo bene, se tornassimo insieme.
Comunque andrà, "everything's gonna be alright."

Quindi... non so, sto cercando con queste rassicurazioni di lasciarmi indietro la paura di questi giorni, il dolore dei primi giorni, la rabbia dei giorni intermedi, e la paura che sento negli ultimi giorni.
Paura di rivederti. Paura che andrà bene, paura che andrà male. Ho paura che domani ci troveremo a disagio come due sconosciuti, e ho anche paura che queste due settimane - e il dolore di queste due settimane - non contino niente. Paura di finire a letto insieme, e anche paura che questo non succeda. Ho paura di sentirti dire che mi rivuoi - a quali condizioni? - e sentirti dire che non mi rivuoi.
Ho paura di dimenticarti, e di non dimenticarti mai. Paura che tu mi dimenticherai, e paura che tu mi abbia già dimenticato. 

Avevo paura, fino a qualche ora fa.
E poi è arrivata la tua telefonata.
La tua voce.
Quanto mi era mancata.

Mi ha calmata. Avevo tutti questi pensieri, poi la tua voce mi ha calmata.
Ha questo potere, su di me.
Significherà qualcosa.



Due settimane di merda, scrivevo su.
Due settimane sono tante, Gia'.
Se ci lasciamo, dovrò e vorrò trovare il modo di dimenticarle.
Ma se torniamo insieme, devi essere tu a trovare il modo di farmele dimenticare.
Se torniamo insieme, vuol dire che ti impegni a fare la tua parte.
Se torniamo insieme, vuol dire che ti impegnerai a non lasciarmi fare la tua parte.

In ogni caso, per me sei e sei stato una persona IMPORTANTE.


Continuo e continuerò a pensare, come ho fatto in queste due settimane, però, che forse non è il "pensare", che ci aiuta.
Ma è il "sentire".

E tu, che senti?

Ti abbraccio.
Da dietro.

E aspetto che mi ricambi.

Nicoletta


P.S. In merito al "ti amo" che ti è sfuggito l'ultima volta che facevamo l'amore... io non ci credo ai "ti amo" detti solo con il cazzo.
Io credo ai "ti amo" detti con la testa, con il cuore, con le palle, con la pancia, con i sensi, con la bocca, con i piedi, con le dita e con il cazzo.
E credo che in quello ci fosse tutto questo.
E che tu abbia solo paura di dirlo, di ammetterlo. Non a me, eh. A te stesso. Amare fa paura, perché rende vulnerabili. Ti rende nudo, spoglio, indifeso.
E credo che tu hai una paura fottuta di tutto questo. 

Ma qui non importa quello che penso io.
Importa quello che pensi tu.
E forse, se ti fa più piacere, era solo un ti amo detto con gli ormoni. Basta che ci credi tu. ...


TI Amo.

Con la testa, con il cuore, 
con le "palle", con la pancia, 
con i sensi, con le dita e 
con la patata.

14 giugno 2014

La filosofia della tazza

Ti piacciono le mug. A me no, piacciono le tazze-tazze, che non so come si chiamano, quelle normali insomma. Ti piacciono le mug, e già lì avrei dovuto capire. Navighi a vista, e non ti piace sporcarti. Se ad esempio "perdi" un biscotto, nella mug lo recuperi in un baleno. Nella tazza no, specialmente se son quelle col fondo più stretto. Devi infilare le dita più in fondo, rischiare di bruciarti di più, a volte non si riesce comunque perché il biscotto nella risalita si rompe nuovamente, e ancora lì a faticare. Con la mug è più facile. I biscotti si recuperano prima, il calore si disperde meglio, vedi il fondo, quello che c'è o non c'è nella tazza. A me piacciono le tazze, a me piacciono le cose che non sai come vanno a finire, metto in conto che ci si deve sporcare, anche scottarsi se necessario. 
Ci siamo lasciati. Ogni volta che vedo la mug nella mia credenza, mi verrebbe da prenderla e romperla. E' odiosa, con quella decorazione a fiori gialli su una fascia azzurra. Già non mi piaceva prima, prima di te;  perché è una mug, perché ha quella orrenda decorazione, e adesso, perché mi ricorda te. Ma la devo lasciare lì, non è mia, appartiene alla "casa", chissà a quale vecchia inquilina risale. Oppure, dovrebbe andare a fare compagnia agli altri oggetti che ti riguardano, sepolti nella tua scatola. Ahah, l'apprezzeresti, sai. Ti ho voluto bene anche nella sua scelta. 
Perché è la scatola delle scarpe che abbiamo comprato insieme sabato, qualche ora prima che ci lasciassimo. Le scarpe alte che ho lasciato su - l'ennesimo regalo, so quanto ti eccitano i tacchi - l'ultima volta che abbiamo fatto l'amore, qualche ora dopo che ci siamo lasciati. Quando mi fottevi da dietro, e ti è sfuggito un "ti amo". Che non mi avevi mai detto. Che adesso faceva meno paura pronunciare, visto che era tutto finito. Non so quanto valga un "ti amo" dopo un "non credo di tenerci abbastanza". Tutto, o forse niente.
Stronzo.

Sabato. E' già passata una settimana.
I primi giorni son stati di merda. Ci siamo dati quest'assurdo appuntamento a due settimane di distanza, per vedere come va, e il veto di non sentirci durante. E' questo a cui è più difficile abituarsi, non avere accesso a te, non telefonarti, non poterti sentire, quando più manchi. Ho fatto la scatola a bruciapelo, subito dopo la nostra decisione, "a caldo", prima che iniziasse a far male. L'ho rifatta il giorno dopo, perché mi sono accorta che c'erano molte più cose collegate a te. Poi ho rinunciato, non potevo metterci l'intera mia vita. Dopo cinque giorni ho fatto pulizie in camera. Ho cambiato le lenzuola in cui hai dormito, lavato il mio pigiama su cui avevi lasciato il tuo odore. Ho rinvenuto un fazzoletto di carta dietro il letto, mi sono chiesta se ci fosse il tuo sperma o le mie lacrime. Ha raggiunto i suoi simili nel cestino, simili sia se fosse dell'una che dell'altra specie. Anche il test di gravidanza era ancora lì dentro. Ho buttato tutto. 
Mi ha fatto bene. Con lo spazio ambientale però è più facile, fare pulizie. Più difficile è trovarti una diversa collocazione interna, nei miei cuori dislocati altrove. 
Ci provo, però. Di giorno ci riesco pure, ho fatto mia la razionalizzazione come meccanismo di difesa. Non era destino, meglio adesso che dopo, è giusto che lui trovi qualcuna di cui innamorarsi davvero e io qualcuno che mi ami come merito, ecc... Gran bel meccanismo, la razionalizzazione. Peccato però che deve essere meteoropatica. Quando piove, o è buio, non funziona un cazzo. Non dormo niente. Perché mi manchi. E lo sento, tanto. E ti sento, anche se non ci sei.
La presenza dell'assenza.

Piove.
Mi mancherà dormirti addosso. Mi mancheranno le tue mani grandi, affusolate. Mi mancherà il tuo broncio divertito su quel termine perché sai che ti prendo per il culo. Mi mancherà la tua risata da babbo natale. Mi mancherà il tuo sguardo perplesso quando assistevi alle mie conversazioni col tuo pisello ormai morto, dopo l'amore. 
Mi mancherà sentirmi parte di qualcosa. E gli abbracci da dietro. 

La tua preferenza per la mug, no.
Quasi quasi la rompo.

3 giugno 2014

La sottile linea rosa

Fuori diluvia, e noi siamo sul letto, appena rientrati dalla farmacia, che aspettiamo mi venga lo stimolo della pipì. Abbracciati, facciamo discorsi confusi, impanicati, a tratti sognanti.
Scongiuriamo un futuro che fa paura, prematuro, ma per il quale stiamo scegliendo anche un nome. Discorsi deliranti.

"Andrea o Giulia". 
"No, Giulia no."
"Manola?.. Manuela, Maura, qualcosa con "Ma...""
"A me piace Benedetta."
"Mh..."
"Dai, sei tu il cattolico, dovrebbe piacerti!... Va be', Marta?!"
"Sì, Marta mi piace. Andrea o Marta."

"Mio fratello ha una casa in Messico. Potrei scappare in Messico... "
"Ma adesso lo so."
"Ah già. Beh, scappo, ma non in Messico... sicuro che non mi trovi" e ridi, stemperando l'ansia.
"Guarda che forse non ti troverò io, ma tua mamma sì. Dovunque sarai, lei ti prenderà per i coglioni, e ti riporterà dove bisogna, a fare i tuoi doveri di padre!" e ridi ancora più forte, sapendo che c'ho colto.

"Avrebbe le tue mani grandi."
"E i tuoi occhi verdi".

"Io non lo voglio un figlio, adesso..." 
"Neanch'io, Gia'."
"..."
"Però, per una piccolissima parte, è bella l'idea, solo l'idea."

Tu che mi segui in bagno, che imbevi lo stick con le dita tremanti, tu che per pudore non hai mai voluto che facessi pipì con te nei dintorni. Tu che non mi lasci sola.

Tenerci stretti stretti, abbracciati, per quei tre minuti. "Ho la tachicardia... i minuti più lunghi della mia vita." Sorrido, affondando il viso nella tua spalla. 
Ci trema il cuore.
La lineetta si colora, una, rosa, dietro di noi. Inoffensiva. 
Ma noi non lo sappiamo ancora. 

18 febbraio 2014

17 febbraio 2014

Dormo da lui, nel suo letto. Tra poco sarà l'alba.
Sento accarezzarmi la schiena, muove la sua mano lungo la mia colonna vertebrale, lui che è così refrattario a fare e ricevere carezze - vanno bene gli abbracci, va bene lo stare appiccicati, va bene il dormire uno sull'altro, ma non gli piacciono le coccole con le mani in movimento, né mie, né sue. 
Io che invece le adoro.

"Non mi avevi mai accarezzata, così."
Silenzio.
"Adesso sei la mia ragazza."

Mi sciolgo.

12 febbraio 2014

Sono entrata in poche chiese

Stamattina mi sono preparata, al solito. Monto sull'autobus, arrivo alla fermata dell'ospedale, dove svolgo il tirocinio, e... non sono scesa.
Sapevo di potermelo permettere, c'era ben poco da fare, e la tutor non ci sarebbe stata... a volte sono loro che mi dicono "Nicoletta, guarda che qualche volta puoi restare a casa...". La diligenza, che brutta cosa.

Stamattina non sono stata diligente - o lo sono stata tanto da sapere che potevo davvero bigiare senza causare nessun problema al servizio (no, essere "irresponsabile" proprio non mi riesce); in ogni caso, in un impeto di "follia", ho proseguito fino a Prato della Valle, volevo fare due passi, approfittando del fatto che c'era il sole, evento più unico che raro nella Padova delle ultime tre settimane (pioggia, pioggia, pioggia).
Sono scesa, e l'aria fresca e punzecchiante mi ha fatto bene. 
La fermata è davanti al monastero di Santa Giustina, rifletto che non ci sono mai entrata, e che per la verità qui a Padova la prima volta che sono entrata in una chiesa è stata qualche mese fa. Dopo tre anni che abito qui. "Trascinata" da qualcuno, per di più.

Così, spingo la porta a vetri interna al portone, e sono dentro. Respiro. Mi piace l'odore delle chiese, soprattutto di quelle antiche. Mi sorprendo ogni volta a pensarlo. E' un'aria fredda, che sa di chiuso, di umido, di legno. 
Ho un corridoio immenso davanti a me, non c'è nessuno, alle 9.10 di mattina. Cammino. Sento i miei passi che risuonano nella navata, le cappelle ai lati fanno da cassa di risonanza e mi rimandano ogni più piccolo suono prodotto dai movimenti della giacca, del ciondolo della borsa, delle scarpe. Mi piace.
Raggiungo le panche, e verso il centro, a sinistra, mi siedo. Mi accorgo di non essere completamente da sola. Ci sono i colombi, i piccioni, o qualche altro tipo di uccello da me non meglio identificato. Stanno su su su, vicino alle finestrelle aperte. E poi esce da una porta un frate, tutto curvo, che cammina lento. Ho temuto che, come nei film, si avvicinasse per chiedere che ci facessi lì, o qual era il motivo della mia visita.
Mi sono immaginata rispondergli "Non lo so... mi sono persa."
E non ho sentito la sua risposta, perché ero concentrata sulla mia domanda. Cosa intendevo? Persa e ritrovatami lì per caso, persa nella mia vita, persa dalla fede, persa...?

Per fortuna ha proseguito dritto, accennando un segno della croce al mio "buongiorno". Ma forse ha colto solo il sorriso, l'ho detto pianissimo, e probabilmente era anche sordo.

Mi sono anche messa in ginocchio, per un po'. 

Non ho pregato. E non ho chiesto nulla. Con le mani perennemente intrecciate.
Non sapevo che ci facevo, lì. 
Ci sono rimasta una mezz'ora buona.

Poi ho cercato qualche moneta, volevo accendere una candela, l'ultima volta che l'ho fatto sarà stato che ero ancora una bambina.
20 centesimi. Nessun offerta. Li ho ritenuti sufficienti per il costo di una candela.
E (ti) ho detto: "d'altronde, non ho neanche chiesto nulla."


Ho sbagliato troppe cose, strade,
sono entrato in poche chiese.