20 novembre 2012

La prospettiva che ieri non era mia

E poi stacchi la testa, ti lasci andare e diventi liquida tra le sue braccia.
E ti scopri, scopri te stessa, per la prima volta.

Tra sospiri forti e i finestrini appannati.
Tra le sue mani, callose e tenere allo stesso tempo.

E i suoi baci sulla fronte, con la mia testa sul suo petto.
E le sue dita tra i miei capelli.
E lui che ogni tanto mi chiede, con un soffio, "Stai bene?"
Io che gli sorrido, con gli occhi socchiusi, e annuisco, senza parlare.

E, sempre, le nostre mani intrecciate.

E la radio che sussurra, mentre mi riaccompagna a casa.
Si riparte da qui, 
confusi ma liberi.

Paura, oggi tu sei per me polvere ferma nei corridoi.

25 ottobre 2012

E l'abbandono sarà solo il titolo di un libro di Tondelli *

Stanotte ho fatto un sogno, meraviglioso e tremendo allo stesso tempo.
L'abbandono è quello che ho sperimentato, quando mi sono svegliata, quando ho realizzato che il mio sogno non potrà mai avverarsi. Abbandonata all'idea che questo non sia possibile.

Ho sognato di essere alla presentazione di un libro.
Alla fine, come di consueto, l'autore senza volto firmava autografi.
Ho preso due copie del nuovo romanzo e mi sono avvicinata. Ha scritto le dediche per due miei amici, e già pensavo alle loro espressioni entusiaste... l'identità dell'autore mi era sconosciuta, ma sapevo che sarebbe stato un regalo graditissimo ai due.
Poi gli ho chiesto di autografare un libro vecchio, per me. Lo tiro fuori dalla borsa, ma anche la copertina di quel libro mi è misteriosa.
Gli dico, sorridendo: "A casa ho anche Altri libertini..." - ne avrei anche altri, chissà perché gli dico proprio quel libro.
Lui sorride a sua volta.
E solo lì, realizzo che quello che gli stavo facendo firmare era Camere separate.
E che lui era Pier Vittorio Tondelli.

*Vasco Brondi, Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero

18 ottobre 2012

Sarà pure retorica

Ora di pranzo. All'uscita del centro commerciale c'è la fermata dell'autobus; sono da sola, evidentemente il pullman precedente è appena passato. Mi siedo sulla panchina per aspettare il prossimo, e man mano cominciano ad arrivare altre persone. Tra queste una signora, che siede accanto a me.
Arriva un anziano, con due buste della spesa colmi. Mi alzo, e gli cedo il posto: "Prego, se vuole sedersi...".  Lui mi guarda con aria perplessa: "Dici a me?.."
Fa lo stesso la signora, mi pare abbia anche un accenno di fronte corrugata, perché dovresti
"Si", gli sorrido. 
Strabuzza gli occhi e fa: "no, non ti preoccupare..."
Silenzio. 
Sogghigna incredulo, scuotendo la testa, come gli fosse capitata la cosa più incredibile al mondo. "Non mi era mai successo prima..." 

Capisco cosa intende. 
Non so cosa dire, e in imbarazzo  gli sorrido di nuovo.
Poi mi volto dall'altra parte, perché ho gli occhi lucidi.
Mentre penso: "mi dispiace", e mi vergogno.

Era un anziano di colore.
Non gli era mai successo prima che un bianco gli offrisse il suo posto.

Mi dispiace, non per lui. Mi dispiace per noi. Mi dispiace della nostra piccolezza. Mi dispiace per i due pesi e le due misure. Mi dispiace che quella gentilezza esibita (sì, esibita) dalle donnine sugli autobus che non ci pensano due volte a lasciare il posto quando sale un anziano, sia la stessa omessa verso un vecchio africano.
Mi vergogno della discriminazione. Mi vergogno per chi vuole l'adeguamento degli stranieri alla nostra cultura, e poi non li tratta da pari, non gli riserva lo stesso trattamento. 
E mi vergogno dell'espressione di disapprovazione di quella signora.
DEVO, signora, perché altrimenti non mi sentirei una Persona che riconosce l'altro come Persona, a prescindere dalla sua etnia, religione, sesso, orientamento sessuale. 

19 agosto 2012

Cannella

La mano di lui sfiora la sua, gli prende il bicchiere da cui stava sorseggiando del vino, lo poggia sul tavolino davanti a loro. Poi lo guarda, sorride, e in quel sorriso e in quegli occhi Andrea legge la sua promessa.
La promessa forse di una notte, forse della vita.
Andrea si perde nel desiderio e nella paura insieme, davanti a quel burrone.
La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare.
Paolo prende quella mano ormai vuota e se la mette sul petto. Ci poggia sopra la sua e la trattiene lì. Bum bum bum. Andrea sente quell’incessante ticchettio aumentare, all’avvicinarsi del suo corpo. Paolo si sporge e lo bacia. E Andrea… fino ad un attimo prima, non sarebbe stato sicuro di come il suo corpo avrebbe reagito. Al contatto di quelle labbra, di quella barba che lo punzecchia, sa.
E a quelle labbra risponde.
Mi fido di te.

Un bacio lungo, lento, le lingue che si accarezzano, si cercano, frugano, scivolano, assaporano.
La stanza, le luci soffuse, il divano su cui sono seduti, Cherubini in sottofondo, tutto scompare. Ci sono solo loro e i loro respiri, e pezzi dell’altro colti fra le ciglia socchiuse. Le mani sul cuore sono ancora lì, le pulsazioni veloci, avvertite sotto le loro dita, sono il loro accompagnamento.
Quel bacio li scioglie, quel bacio che si sente lungo la schiena, e nel basso ventre.
Il risveglio dei sensi. Per Andrea, il risveglio alla vita.
Paolo bacia e ride, adesso un po’ più rilassato. Non ci sperava. Andrea sente quel sorriso aprirsi sotto le sue labbra, sorride a sua volta, felice di aver saltato. Paolo gli passa una mano risalendo dal collo sulla testa, lo accarezza, gli scompiglia i capelli… Andrea  recupera un po’ della sua solita sicurezza, sicurezza che Paolo come un minatore aveva puntellato per mesi; tutte le parole, le telefonate, i caffè presi insieme, gli sms… tutto lì, in quel bacio, per quel bacio.
Lo guarda di lato, Andrea, socchiudendo gli occhi e si fa spavaldo, godendosi la gioia, finalmente, di sapere chi è e quel che vuole: “Sì, ma non credere che adesso te la caverai con un bacio…”
“Ah no?”, la bocca di Paolo si incurva all’insù, mentre fa il finto tonto.
Poi, prima di avere il tempo di sentire la risposta, lo zittisce mordendogli le labbra, facendogli saggiare  un po’ di dolore. Ma è un dolore leggero, che lo stuzzica, e Andrea lo lascia fare. Paolo fa scorrere la sua lingua lungo quelle labbra, le succhia avidamente. Poi si stacca, si alza, gli prende le mani e lo tira in direzione della camera da letto.
Si siede sul letto e lo invita a fare lo stesso.
“Vieni da me”.
Paolo lo abbraccia, gli bacia il collo, poi di nuovo la bocca. Questa volta lo fa con più passione, i respiri si fanno più profondi, perfino l’aria viene assaporata. Ed è solo lingue, di nuovo.
Gli sbottona la camicia, lo adagia sul letto, e ad ogni bottone che si apre aspira il suo profumo che si fa più intenso; si perde in quel profumo e in quei peli neri, glieli accarezza, sfiora un capezzolo col naso mentre stuzzica l’altro con un dito; poi lo lecca, lo morde. Andrea sospira, un sospiro più lungo dei precedenti.
Paolo lentamente lo spoglia, gli lascia solo i boxer; si scosta e con sé fa lo stesso. Andrea lo aspetta, alza la testa e si sorprende a desiderare quel corpo simile al suo, le spalle forti, la schiena imponente. Si sorprende a desiderare quel rigonfiamento su cui i suoi occhi si sono posati.
Paolo lo guarda in quel momento, e Andrea si sente stanato, colto sul fatto. Ridono, imbarazzati e ebbri di desiderio, l’uno per l’altro.
Paolo torna da lui, e riprende il percorso che poco prima aveva tratteggiato. Sfiora ancora con il naso, poi con una guancia. Gli soffia sulla pancia, e questo  Andrea non l’aveva mai provato. Soffia e i peli gli fanno il solletico, la barba di lui pizzica, ma è così che la sua pelle si accende, diventa più sensibile e recettiva. La lingua di Paolo torna a scorrere e scendendo disegna quelli che sembrano dei piccoli cerchi.
Sta scrivendo “Ti amo”, ma questo Andrea non lo saprà, non per adesso. Un passo alla volta.
L’ultima lettera finisce sul lembo dei boxer, Paolo alza lo sguardo e incontra quello di Andrea. Occhi negli occhi, complici.
Andrea inspira, Paolo gli infila le mani sotto il sedere, passa attraverso lo spazio che Andrea alzando li bacino gli sta facendo, lo tira più vicino a sé, poi afferra il tessuto e tira giù. Andrea espira.
E’ Paolo adesso, ad inspirare. L’odore di uomo, dell’uomo che desidera da tanto. Ma non lo tocca, non ancora. Gli passa le mani sulle cosce, lo accarezza; lascia che la voglia in Andrea cresca, e gioca con i peli della pancia, quelli più folti sotto l’ombelico e quelli del pube, e vede che questo gli piace, lo vede dalla tensione che cresce lì davanti ai suoi occhi. Fa scorrere le dita anche su quella strisciolina di peli più fitta, tra le natiche. Andrea non sembra esserne troppo turbato; Paolo lo fa girare.
E decide di iniziare da lì, da quel territorio inesplorato. Con la punta della lingua passa lungo il solco, Andrea si eccita a sentirsi bagnato lì dietro, non è abituato. Sensazioni nuove, mai sperimentate, lo investono; non solo fisiche, soprattutto mentali. E’ il  sapere che la sua lingua, che lui, è .
Acceso, si muove sul letto, ci si struscia contro. Paolo se ne accorge e gli intima: “Non muoverti”, sogghignando.
“Malefico!”, ride Andrea.
E’ un supplizio restar fermi e non potersi scostare, anche brevemente, da quella lingua che fruga…
Finalmente Andrea si sente girare. Lui è lucido di umori, aspetta solo di essere considerato. Paolo lo accarezza, fa scorrere il suo dito lungo la parte posteriore di tutta l’asta, poi avvolge la mano destra intorno e incomincia la danza. Su e giù. Lascia la sinistra tra i suoi glutei, ferma. Andrea le sente, entrambe. Sospira.
Si stupisce di come Paolo sappia toccarlo, di come sappia toccarlo bene quanto lui.
Sente che glielo prende in bocca; calore e saliva intorno. Le labbra di Paolo ballano anch’esse, assaporano, leccano, lambiscono. La lingua segue i bordi, il percorso un po’ tortuoso delle vene, dei nervi, quello circolare della punta, soffermandosi su di essa. Andrea geme, gli piace. Gli piace. Paolo sa e fa, meglio di qualsiasi donna che abbia mai avuto.
La mano fra le natiche è ancora lì, Andrea se n’è quasi dimenticato, preso com’è da tutte le sensazioni che gli arrivano da davanti, e proprio perché è eccitato al massimo Paolo sa che è il momento giusto per… far acquisire ad Andrea la consapevolezza di questa parte del suo corpo. Bagna le dita con la saliva, e le rimette lì, ferme ma non troppo in fondo; non vuole imporre, solo suggerire e stuzzicare.
Intanto la danza continua, la bocca va su e giù, la mano di Andrea accarezza la testa di Paolo e ne accompagna di movimenti. Comincia a muovere il bacino, per andarle incontro; prima lentamente, poi più velocemente, e allo stesso tempo sente l’indice di Paolo scorrergli dietro. Non è lui che lo muove, sono i movimenti del suo bacino… “Stronzo di un Paolo”, pensa, geme e ride, intuendo dove vuole arrivare.
Non lo ferma però, perché quel Paolo sarà pure ‘stronzo’, ma è uno stronzo maledettamente bravo. “Uno stronzo di cui mi sono innamorato”, pensa Andrea.
“Stronzo…”, dice sogghignando; poi aggiunge: “Dì al tuo indice di decidersi, però...”, ride.
Ride anche Paolo, gongolando.
Si scosta dal suo cazzo e lo lecca nuovamente dietro, poi lo guarda, e con gli occhi fissi su di lui si porta il dito in bocca, per inumidirlo con la saliva. Poggia il dito all’ingresso, e con la bocca torna davanti. Ricomincia a pompare e lentamente spinge il dito più a fondo. Quando sente che Andrea si contrae si ferma, e aumenta il ritmo davanti…
Andrea si lascia andare, si consegna a quelle labbra e a quel dito; si consegna a Paolo. L’erezione monta sempre più; l’iniziale fastidio si trasforma, il suo corpo si è adattato e quello che gli restituisce adesso è piacere, puro piacere. Sensazioni arcaiche, primitive, gli giungono dal punto più remoto del suo corpo, che Paolo ha riportato alla luce, sotto le sue mani. Andrea sta per scoppiare, il ritmo di Paolo aumenta, i movimenti del suo bacino sono più costanti, i gemiti e i respiri si fanno sempre più forti…
“Vieni per me”.
La voce calda di Paolo.
E come se avesse bisogno del suo permesso, del permesso di colui che gli ha dato le chiavi di questo nuovo piacere, Andrea viene. Un orgasmo forte, pieno, un orgasmo che abbraccia tutto il corpo, e amore liquido nella bocca di Paolo, amore che i due non sanno ancora che sia amore.
Amore che Paolo beve, ma non del tutto. Ha intenzione di far conoscere ad Andrea il suo sapore… è una notte di scoperte. Amore che torna ad Andrea attraverso un bacio, salino e lievemente acido, amore che si passano tra loro, che passa da uno all’altro, nelle loro bocche.

Sono sazi, ma non ancora abbastanza. Andrea è entusiasta della nuova scoperta, e non vede l’ora di riprovarla; Paolo, appagato sì mentalmente, ma non fisicamente, vuole avere il suo guadagno.
Le mani di Paolo sono ancora lì, sul sesso mezzo addormentato di Andrea. Quando sente le carezze, ha un guizzo, e capisce che il gioco non è ancora finito.
Fa voltare Andrea a pancia in giù, si siede sulle sue cosce e inizia a massaggiargli la schiena, un po’ per prendere tempo e fargli riprendere fiato, un po’ per accenderlo nuovamente. Si versa sul palmo un po’ di olio alla cannella, si strofina le mani, e poi inizia dalla nuca, dal collo. Struscia, preme, coccola; si allarga sulle spalle, sulle braccia, sotto le ascelle, e da qui raggiunge i capezzoli, li stuzzica. Torna indietro, e scende lungo la colonna vertebrale, piano. Con le dita sfiora il dorso di Andrea, la parte laterale della pancia, rotonda e morbida. La cinge da dietro. Si ferma ai lati dell’osso sacro, con i pollici preme, ruotandoli, massaggiando. Andrea si rilassa, sta bene. Si sente bene.
Paolo versa nella conca della sua schiena altro olio profumato, di quell’essenza che poi ricorderanno, per tutta la vita, aver accompagnato quel loro momento. Quando assaporeranno dei biscotti alla cannella, quando fiuteranno nell’aria quell’odore provenire da un negozio di spezie, quando prepareranno la crema e legheranno lo spago intorno alla stecca, evocheranno, per sempre, quella notte. Sorrideranno, forse, grati l’uno all’altro per quello che hanno vissuto e condiviso insieme.
Paolo spinge quell’olio in basso; accarezza la rotondità del sedere di Andrea, i suoi fianchi, l’interno delle cosce. Sfiora i testicoli, da dietro, risale il perineo, e di nuovo sì trova dove Andrea lo desidera, ancora. Le dita di Paolo riacquistano lo spazio che poco prima aveva guadagnato. Ne infila uno. Andrea geme. L’olio rende tutto più agevole, Paolo ne infila un altro, mentre con la sinistra passa di lato ad accarezzare il suo cazzo, che adesso è decisamente sveglio. Andrea è accaldato, eccitato, ansima. Vuole tutto; vuole lui, vuole  lui.
Quando lo trova pronto, Paolo lo lubrifica di nuovo con le dita, dentro, a fondo, e passa la mano anche su di sé. Gli bacia la schiena oleosa, poi si sporge di lato, e con quelle labbra che sanno si cannella si avvicina e lo bacia; si passano respiro e coraggio.
Paolo appoggia il suo sesso duro nell’apertura; si fa spazio, piano. Sente Andrea contrarsi e gli prende la mano, dicendogli di stringere quella, non il suo sedere.
Andrea lo fa. Lentamente Paolo avanza, lentamente ma con costanza. Andrea strizza gli occhi in una smorfia di dolore, e si domanda perché si sta sottoponendo a questo. Per Amore, si risponde.
Intuendo i suoi pensieri, Paolo gli sussurra “fidati di me”. E lui si fida, si rilassa, accoglie.
Quando è finalmente dentro, Andrea emette un rantolo. Paolo si ferma, immobile, ma non lo lascia andare. Lo abbraccia da dietro, se lo stringe al petto, cullandolo. Fermi. Gli dà tempo per abituarsi a questa nuova presenza; si fa spazio nella sua testa, nel suo cuore, nel suo culo.
Poi, con la lingua, gli scrive sulla schiena “ti amo”, di nuovo. Andrea capisce, e la lacrima che poco prima era spuntata per il dolore, gli solca il viso e raggiunge il suo sorriso.
Paolo comincia a muoversi. Rimangono attaccati nella parte superiore, il petto di Paolo è incollato alla sua schiena, vuole farlo sentire protetto. Piano, muove solo il suo bacino. Alla prima spinta Andrea ansima: “aaa… aaanche…”, alla seconda: “…iooo”, geme.
Paolo realizza che è la sua risposta, la risposta a quella frase che poco prima gli ha disegnato. Si ferma, emozionato, e lo bacia. E nelle loro bocche, aroma di cannella e lacrime salate.
Paolo riprende gli affondi, piano. Andrea comincia a rilassarsi, non è così male. Anzi. Inizia ad agevolarlo, inarcando la schiena. La sua erezione monta, e si struscia contro le lenzuola. Le sensazioni di dolore, di fastidio, l’attrito avvertiti poco prima hanno dato luogo ad un riacquisito piacere. Piacere che lo sta lentamente invadendo, si sparge dalle sue viscere e lo inonda in tutto il corpo. Ripensa ad un libro che qualche settimana prima Paolo gli aveva prestato; ad Aciman, che ha fottutamente ragione quando dice che la ghiandola pineale cartesiana non si trova nella tua testa, ma dentro il tuo culo. E a questo pensiero sghignazza, arrossato e sudato.
Anche Paolo finalmente geme, ansima; per una questione fisica, certo, ma anche mentale. Vede che il suo uomo sta godendo per mano sua, sotto di lui; che il suo uomo si sta lasciando andare a lui, e anche a sé stesso, finalmente. Che il suo uomo si fida di lui al punto da permettergli di entrare in lui, di possederlo, di possedere il suo corpo e la sua anima.
Paolo si tira indietro e lo fa voltare. Le gambe all’insù, i loro sguardi, uno dentro l'altro, uno addosso all’altro.
Ricomincia con un ritmo più veloce e serrato. I respiri intensi, la sua mano sul cazzo di Andrea, la mano di Andrea sulla sua. Su e giù. Insieme.
Andrea si fa trasportare dal ritmo, adesso ci dà dentro anche lui col suo bacino. Si muove in maniera complementare: quando Paolo si allontana, lui fa lo stesso; quando lui si avvicina, lui altrettanto. Si sbattono contro, si entrano dentro. E ci siamo mischiati la pelle, le anime e le ossa.
Un turbine di sensazioni si spandono in Andrea, mai, mai, avrebbe pensato. Reclina la testa, espira profondamente. Il suo cazzo è duro e teso che non ne può più, una reazione fisiologica all’essere penetrato, stimolato dietro. Una reazione fisiologica ad essere penetrato dall'uomo che ama.
Andrea si fa audace, nei gesti e nelle parole.
“Fottimi.
più.
forte.”,
sussurra tra gli ansimi.
Paolo esegue.
Andrea è in estasi, si sente pieno, riempito nel culo e nelle palle; assapora ogni affondo, ogni attrito, ogni brivido di quel contatto, di quei corpi che, sudati, si strofinano contro.
Quando ormai sono al limite, quando stanno per scoppiare, quando Andrea non ce la fa più, è allora che sente Paolo.
Vieni con me.”
Di nuovo quella voce, bassa, arrochita dal piacere.
Quella voce è un balsamo. E’ il comando che fa abbassare la diga. E Andrea gode. E gode forte, grida, sotto lo sguardo di Paolo che lo fissa, che non gli dà via di scampo, sotto quegli occhi che vogliono il suo piacere, e lo vogliono tutto per loro. Gode anche Paolo, godono insieme, guardandosi, e assaporando, internamente, quel liquido caldo riversato nel corpo di Andrea, e quello di Andrea che schizza fortissimo, contro la riproduzione di un graffito di Haring, appeso sulla testiera del letto.
“Ops".
Ridono. Complici. Ancora di più.
Rimangono così, l’uno dentro l’altro, respirando a fatica, sazi e appagati, finché non si addormentano, abbracciati. In un abbraccio che sa di cannella.

14 agosto 2012

C'era una volta

C'era una volta una donna che risaliva a piedi una strada di campagna con il suo bambino, impauriti e soli, a notte fonda.

C'era una volta una donna in auto, il marito alla guida, e il loro bambino. Poco prima erano stati a cena da una parente, poi qualche battuta fuori posto, il marito che beve qualche bicchiere di troppo, lei che lo invita a smettere, lui che si sente ripreso nell'orgoglio... ricominciano a litigare come già spesso succedeva, volano parole grosse che si concludono in un ghigno di lui e nella sua promessa sottovoce: "poi ti faccio vedere chi comanda".

C'era una volta un uomo che in macchina con la sua famiglia, dopo una cena, devia per un bosco, si ferma in uno spiazzo, tira il freno a mano.
Poi rispetta quella promessa.

C'era una volta, una notte, di ritorno da lavoro, una donna che percorreva in auto una strada deserta in salita. Nota una donna e un bimbo che camminano tenendosi per mano, su un lato della carreggiata. Procede. Si acciglia, alza gli occhi, li guarda dallo specchietto retrovisore, riflette, soppesa. 
Sa.
No, non: immagina.
Non: ha capito.
Lei sa.
Fa inversione e torna indietro, si accosta, tira già il finestrino e si specchia nello sguardo di quelle anime sperdute.
Poi è solo buio e occhi. Occhi della donna e del bambino, occhi di sé stessa di qualche anno prima, occhi delle sue figlie, occhi dei loro mariti. Occhi della gente che ti guarda e passa. Occhio dall'alto, che chissà se vede, ma se vede se ne frega...

C'erano una volta due donne in macchina, una tiene il suo bambino in braccio, lo culla, lo calma.
Le due donne parlano. La donna al volante ascolta quella che è stata la sua storia dalla donna con i capelli arruffati e le lacrime agli occhi, qualche rivolo di sangue dalla bocca.
La donna con le lacrime agli occhi ascolta la sua storia, e quella che sarà, forse, dalla donna che si è fermata.

C'era una volta una donna che tornava dalla città in cui studiava, il giorno successivo a quella notte.
Questa favola l'ha ascoltata in macchina, nel viaggio dalla stazione a casa. Guidava una donna. La donna che si è fermata a soccorrerli. La donna che è sua mamma.

15 luglio 2012

E quella maledetta mania di imboscare lettere mai spedite dappertutto e dimenticarsene, che quando poi per caso ti ci imbatti... eh.

11 luglio 2012

Il mio ambiente naturale

Scrivo dal pavimento del corridoio dello studentato. In camera c'è troppo caldo. L'aria è ferma e statica e c'è poco ricambio, come dentro la mia testa.
Mi sono messa in corridoio perché c'è corrente, due finestre aperte nei poli opposti. Dovrebbero brevettarle anche per noi, le orecchie sono aperture fasulle; mi ricorderò di dirlo a Dio o chi per lui, così magari, per la prossima volta...
Con la schiena contro il muro, le gambe incrociate, e ciocche di capelli che sfuggono dalla coda e mi volano davanti agli occhi, mi guardo intorno. Mi fanno compagnia gli scatoloni, vuoti ancora per poco, poggiati momentaneamente fuori dalle stanze, che segnano la chiusura e lo svuotamento a breve del collegio; mi fa compagnia il mio stendino, con le lenzuola arancioni e verdi che dovrei raccogliere e piegare; mi fanno compagnia le fotocopie di due testi  universitari di esami passati, che chissà perché mi è venuta voglia di risfogliare.

E ad un tratto immagino di essere in una vecchia soffitta, circondata da polvere e libri logori, da sedie a dondolo usurate che cigolano e abiti dismessi.
Respiro l'aria pesante, che sa di chiuso e di umido.

Ci sto bene, qui, così.

Tra le cose vecchie, le cose rotte, le cose dimenticate.

18 giugno 2012

Presuntuosamente

Che poi, io, a dirla tutta, sarei una di quei personaggi di cui, in un libro o in film, non potresti non innamorarti.
Una di quelle che hanno mille complessi, mille ansie, mille insicurezze.
Che inciampano e cadono ogni due per tre.
Che per l'emozione balbettano e muovono convulsamente le mani. E si grattano. E si toccano continuamente. Un laccetto della maglia. Un anello. Una ciocca di capelli.
Che in borsa invece di rossetto e fard hanno un libro.
Che preferiscono passare il sabato sera a casa piuttosto che in mezzo a sconosciuti per locali.

Capito, no? Una di quelle strane e imbranate.
Che fanno tenerezza solo a guardarle.

Quindi, su. Innamoratevi di me!

6 giugno 2012

Di quesiti - ancora - irrisolti

Marzo 2011. Prima lezione di un nuovo corso all'università.

"Facciamo una piccola indagine su come è cambiata la società.
Prendete un foglio e scrivete queste domande su come vi vedete nei prossimi anni.
Rispondete in forma anonima, poi passate i fogli davanti."

Quanti anni hai? 24
Sei sposato? NO
Hai figli? NO

Ti vedi sposato tra due anni? NO
E tra cinque? ...

Ti vedi con figli tra due anni? NO
E tra cinque? ...


21 maggio 2012

Tra il dire e il fare

Nella scala che va dal PENSARE di scrivere nome e numero su un foglietto e infilarlo nella tasca del cameriere puntato, allo SCRIVERE il nome e numero su un foglietto e INFILARLO nella tasca del cameriere puntato, mi son fermata al CERCARE un foglietto nella borsa su cui scrivere nome e numero da infilare nella tasca del cameriere puntato.
E fissare quel pezzo di carta bianco.

Direi che faccio progressi, no? :D

15 maggio 2012

Inquieta o Mai stata baciata o Drew Barrymore sono io [te piacerebbe]

Sono inquieta.
E, da un paio d'ore nel letto, non ancora riesco a prendere sonno.

Penso che c'entri il fatto che tra un giorno compio venticinque anni. Il vento che fa vibrare il vetro delle finestre. Il cerbiatto a cui somiglia l'amore di Grossman che ho appena iniziato. Il fatto che non ho mai baciato nessuno. Mia mamma che prima di andare a dormire mi chiede se va tutto bene. La caffeina contenuta nel litro di coca-cola ingurgitato oggi. Le discussioni per un paio di pantaloni gialli che vuol comprare mia sorella. Il fatto che non ho mai baciato nessuno. La7 che proprio stasera latita dal digitale. La pashmina che mi vogliono regalare. Le gocce che martellano sul balcone. Il fatto che non ho mai baciato nessuno. Un 'ok' inviato senza smile. I rumori nell'appartamento di sopra. La valigia non ancora disfatta da una settimana. Il fatto che non ho mai baciato nessuno. Gli interessamenti per le persone più - o meno - fatiscenti che incontro. L'esame per cui non ancora inizio a studiare. La prima causa di Forum. Il fatto che non ho mai baciato nessuno. Le note copiate da Camere separate. La voglia di non festeggiare, però, qualcosa, eh. La melodia di 'e piove e cerchi il mare'. Il fatto che non ho mai baciato nessuno. I capelli che mi fanno caldo nel collo. I tweet del cazzo per non parlare d'altro. Il fatto che non ho mai baciato nessuno.

Il desiderio di sentirmi dire: "Scusa il ritardo... c'ho messo tutta la vita per arrivare da te."

13 maggio 2012

Sms notturni

Amo ricevere messaggini di notte.
O di mattina presto, quando dormo ancora.
Amo sentirne il suono. Quando succede, sorrido con gli occhi chiusi. E non lo interrompo.

A volte, quando ho troppo sonno, li leggo al mattino. A volte subito; rispondo, e torno a dormire. Serena.
Non è quello che c'è scritto. E' il fatto che qualcuno mi abbia pensato.
Mi sento più sicura, protetta.
Come se quel qualcuno, poi, vegliasse il mio sonno.

10 maggio 2012

di giorni spesi a guardare siepi
e non al di là.

 L'amore a trent'anni, Valentina Dorme

[Grazie ad M. per la nuova scoperta]

7 maggio 2012

Dentro

Voglio qualcuno.
Qualcuno che mi entri dentro.
Qualcuno che si faccia spazio, in me.
Nell'anima e nel corpo.
Nel cuore e nella fica.
Nella pancia, negli occhi, nel naso, tra le dita...
Qualcuno che mi riempia.
Che non lasci mancanze, ma solo pienezza.
Qualcuno che abbia la voglia, la forza, l'urgenza, di entrarmi dentro.
Con dolcezza, sì, ma con fermezza.
Voglio qualcuno che vinca le mie resistenze.
Che non mi dia scampo, se provo a ritrarmi.
Che faccia un passo avanti, se ne faccio uno indietro.
Che mi tiri a sé, se resto ferma.

2 maggio 2012

La piramide

L'anno scorso ho seguito un corso sul comportamento assertivo.
In un incontro, parlando del rapporto con gli altri, ci spiegano che non sempre, anzi quasi mai, la nostra scala di priorità coincide con quella di chi ci sta intorno.
Ad esempio, tu dai una festa, e un amico non viene perché la stessa sera festeggia il compleanno il padre. E tu ci rimani male e pensi: "sì, però io antepongo l'amicizia alla famiglia.. lui no."

BAAAAAZ. Pensiero errato.


Non è sbagliata la tua "piramide". Non è sbagliata la sua. Sono semplicemente diverse.

Priorità riguardo le cose, gli eventi, i valori.. ma anche priorità riguardo le persone.

Semplicemente, se si impara e accetta questo, si vivrebbe molto meglio.

Io, ci sto ancora lavorando.

14 aprile 2012

12 ore (tragicomiche)

Ti innervosisci. Fai finta di niente.
Ti metti a letto.  Ripensi alla giornata. Ti intristisci (andiamo bene..).
Ti addormenti piangendo e pensando che non c'è un cazzo di uomo nella tua vita per cui tu sei al primo posto.
Dormi più o meno bene (meno) per 6 ore.
Sbraiti con tua mamma che ti fa svegliare presto - ok, presto per te - perché la devi aiutare... e poi, CINQUE MINUTI dopo che ti ha chiamato, ci ripensa.
Ti lavi. Ti siedi sul water chiuso e ti spari l'aria del phon addosso, coccole e calore. L'ultima frontiera dell'autoerotismo consolatorio. Altro che vibratori.
Fai colazione. Accendi il pc, ascolti una canzone della Amoroso (perché, poi..) e alzi la tapparella. Un tempo che manco Padova quando sei arrivata. E meno male che sei in Abruzzo. In primavera.
Ti butti sul divano, attorcigliandoti il piumone intorno. E cosa leggi per tirarti su? Il libro dell'inquietudine, che domande.
Pensi di scrivere un twitt ma poi lasci stare: "Nebbia. Pioggia. Pessoa. #ALLEGRIA! "
Mentre ti spalmi le lacrime sulla faccia con le mani, nel tentativo di asciugarti (chi ce la fa ad alzarsi e a prendere un fazzoletto), dopo aver letto l'ultima frase lacrimogena (Non conosco il futuro. Non ho più il passato. L'uno mi pesa come la possibilità di tutto, l'altro come la realtà di nulla.), squilla il telefono.
Tua sorella (ma vi siete sentite prima..)? Papà (non c'hai la forza né per rispondere, né per non rispondere.. non deve chiamare e basta.)? Nonna paterna (che non ti ha fatto manco il regalo di Pasqua perché ormai considera solo il nipote maschio, quello nato dal secondo matrimonio del figlio caro, e che, per questo, hai deciso di cazziare alla prima occasione utile)?
Nonna.
Questa è la prima occasione utile. Merda.
Ispiri, e schiacci il verde.
Sei capace di dirle solo due parole in croce, e la voce trema pure. Quando chiudi scoppi in lacrime e singhiozzi, perché non hai mai risposto una volta ai tuoi nonni, non ti sei mai permessa di contestarli; odi far male agli altri e odi quando ti mettono in circostanza di farlo. Perché cazzo le persone abusano della bontà? Ti asciughi direttamente col piumone, ormai...
Vai in bagno, ti soffi il naso con la carta igienica e stai per perdere uno dei due piercing al naso nello scarico del lavandino. Recuperato in extremis.
Ti appoggi a quel lavandino pensando che ti fai schifo. Poi soppesi i motivi, e ti senti ancor più sfigata perché non ce l'hai neanche, un motivo serio per farti schifo davvero.
Ti guardi allo specchio e ti trovi patetica, gli occhi rossi e gonfi. Sorridi però perché trovi che, nonostante lo stato pietoso, i capelli ti stanno d'incanto. E poi torni a piangere, non s'è mai vista una depressa che in un momento così pensi ai capelli.
Ti passi l'acqua fredda sulla faccia trovando sollievo, e valuti la possibilità di riempire la vasca d'acqua gelata e infilartici con tutti i vestiti. Ma poi vuoi sentire mamma se rientra e ti trova lì, così. Penserebbe che sei definitivamente impazzita, dando ragione a tua sorella che lo pensa già da un pezzo.
Con una furia omicida impasti il pane fatto in casa perché hai bisogno di sfogarti su qualcosa. Non è il caso di accanirsi su tavoli, sedie o arredamento vario (vedi motivo di cui sopra).
E con le mani che sanno ancora di lievito e farina scrivi l'ennesimo post del cazzo.

Chissà perché ti scappa da ridere, rileggendolo.

23 febbraio 2012

Come papà! :D

In bagno c'è una bambina. Avrà cinque o sei anni.
Apre l'armadietto di noce chiaro tenuto dietro la porta, a fianco alla vasca da bagno.
Prende quegli oggetti che ha visto usare per tante volte da altre mani, mani esperte. Perché, quando il papà si faceva la barba, con la porta socchiusa, lei facendo piano andava a sbirciare. E quasi sembrava che lo stesse spiando di soppiatto. Se gli avesse chiesto di poter stare con lui, magari seduta sul bordo del lavandino, per stargli più vicino e guardare bene, non le avrebbe di certo detto di no.
Ma non sarebbe stata la stessa cosa.
Nascosta dalla penombra del corridoio, tutto le sembrava più magico. Lo osservava come si osserva un rituale che si ripete, di settimana in settimana, perché il papà lavorava lontano, e lei questa magia poteva vederla solo la domenica. Rapita, come se avesse qualcosa di mistico.
Guardava il suo viso bianco di sapone, riflesso nello specchio con le luci belle, e un po' le sembrava babbo natale.
Così, eccola lì, quella bambina. Con pennello e schiuma in mano. Socchiude la porta perché non vuole farsi vedere e si mette in ginocchio sullo sgabello. Finalmente protagonista di quel rituale.
Già sa cosa deve fare. Passa il pennello nell'acqua, poi nel contenitore del sapone. Infine, sul suo musetto, e le setole e la schiuma le fanno il solletico.
Prende il rasoio, decisa ad eseguire tutto come va fatto.
E...zac!
Si taglia subito subito, sul labbro. Le vengono i lucciconi negli occhi, ma un po' si sente anche orgogliosa, per quel dolore. Una specie di rito di iniziazione.
Non urla, ma chissà perché, forse richiamata dall'eccessivo silenzio della casa, entra la mamma, ché forse la cercava. La trova così, con l'aria colpevole di chi sa di essere stato smascherato dal fare una marachella.
"Te', ma che stai a combinare?!"
E lei, con gli occhi dolci di chi vuole farsi perdonare e il sorriso più grande del mondo, esclama: "...come papà!" :D

9 febbraio 2012

Frammenti di vuoto*

Lui: [...] Buon dormicchiamento, anche se vorrei essere quello che ti sveglia, anche se non ti merito.

Io: Uh. :( Perché dici che non mi meriti? Non ci conosciamo abbastanza, forse sono io che non merito te, non lo sappiamo. :*

Perché so come sono e il tipo di vita senza libertà di movimento che faccio. Ma non voglio deprimerti. Ignorami.

"Love finds a way", no? Se sarà amore, o destino, o caso, chiamalo come ti pare, si troverà il modo.. Ma se invece pensi che ci metti del tuo, nel senso che non hai tanta voglia di conoscermi (nel tempo, non dico subito), forse è meglio che io lo sappia...

Allora, se il caso lo permetterà, avrei piacere di conoscerti. Non so se ci metto del mio o no ma nella mia negatività c'è la certezza della solitudine. Poi può essere che sia solo un riflesso di tale negatività. Insomma, non è che non voglia conoscerti, ma i rapporti sociali sembrano non fare per me, ne ho paura ma li vorrei...


Ma ti capisco perché per me è lo stesso, mi sto "lanciando" un po' di più rispetto a te forse solo perché sento che dall'altra parte c'è qualcuno che mi può capire... Altrimenti non sono intraprendente per niente. Facciamo piccoli piccoli passi, ok? :)

Esatto, è più o meno come la vedo io, non lo so ma da quel che traspare hai un carattere che mi fa provare meno paure. Paure che non mi lasciano mai...

Paure che ho anch'io. Siamo in due, ad aver paura. Secondo me pensiamo di non avere il diritto di essere felici... non so per quale sbagliato motivo. Però... forse è tempo che ci proviamo anche noi, perché ENTRAMBI ci meritiamo un po' di quella felicità. :'

[...]

*citazione sua

4 gennaio 2012

Vent'anni e non sapere fare niente.

Vent'anni tra milioni di persone, che intorno a te inventano l'inferno. Ti scopri a cantare una canzone, cercarenel tuo caos un punto fermo.
Vent'anni nè poeta nè studente, povero di realtà ricco di sogni, vent'anni e non sapere fare niente, nè per i tuoi nè per gli altrui bisogni, vent'anni e credi d'essere impotente.

Vent'anni e solitudine sorella, ti schiude nel suo chiostro silenzioso, il buio religioso di una cella, la malattia senile del riposo.
Vent'anni e solitudine nemica, ti vive addosso con il tuo maglione, ti schiaccia come un piede una formica,
ti inghiotte come il cielo un aquilone, vent'anni e uscirne fuori è fatica.

Vent'anni e stanza ormai piena di fumo, di sonno di peccati e di virtù, lasciandoti alle spalle un altro uomo, dovresti finalmente uscire tu.
Vent'anni e il vecchio mondo ti coinvolge, nel suo infinito gioco di pazienza, se smusserai il tuo angolo che sporge, sarai incastrato senza resistenza, vent'anni prima prova di esperienza.

Vent'anni e ritagliare i confini, di un amore che rinnova l'esistenza, e ritrovarsi ai margini del nuovo, scontento della tua stessa partenza.
Vent'anni e una coscienza rattrappita, che vuole venir fuori e srotolarsi, come tendere un filo tra due dita, vedere quanto è lungo e misurarsi, vent'anni fare i conti con la vita.

Vent'anni e già vorresti averne trenta, esserti costruito già un passato, vent'anni e l'avvenire ti spaventa, come un processo in cui sei l'imputato
Vent'anni strano punto a mezza strada, il senso dei tuoi giorni si nasconde, oltre quella collina mai scalata, di là dal mare e dietro le sue onde, vent'anni rabbia sete e acqua salata.