30 dicembre 2010

Cose da fare 3

Fare una lista delle cose che non voglio,
su suggerimento dei Fine before you came.

Ma soprattutto, cercare di metterla in pratica.

22 dicembre 2010

La gente usa quelli che chiama telefoni perché odia stare nello stesso luogo insieme, ma ha anche paura di stare sola.
[C. Palahniuk]

14 dicembre 2010

"Chiudi".

Mordo da dentro le guance.
Alla ricerca di un motivo per cui siamo tanto bravi a farci male da soli.
Anche quando va tutto bene, anche quando è un male che non serve.
Che bravi masochisti, siamo.

___
Guarda, tra i suoi segni ci sei anche tu.
Stranamente, meravigliosamente, ci sei anche tu.

4 dicembre 2010

Sole dentro

Ci vorrebbe un post lunghissimo, ma io non ne ho bisogno.
Quindi non lo scrivo.

(Mi) Basta sapere che sto bene.
(Mi) Basta sapere che sto vergognosamente bene.

24 novembre 2010

Cose da fare 2

Commettere peccati, crimini, cose di cui non andare fieri; circondarsi di momenti bassi e squallidi.

..tanto per aver qualcosa da scrivere nella fase 4 del proprio percorso di disintossicazione.
 (si nota l'influsso di Palahniuk, eh?)

" che ognuno a suo modo è un tossico vero
di pere, d'affetto, di sogni, di sesso o di idee

sei tossico sempre di cose che non sono tue"

17 novembre 2010

E l'abbandono sarà solo il titolo di un libro di Tondelli.
Chissà se sono solo un bisogno fisiologico gli abbracci.

[Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero. V. Brondi]

8 novembre 2010

Piccole donne (non) crescono!

Suono al suo campanello, come ogni pomeriggio, ormai da due anni.
Mi apre e mi accoglie una ventata di profumo, anzi, mi investe. Forte, maschile. Deve averlo rubato al papà. Tanto che sua mamma lo rimprovera, anche su quanto se ne sia messo: in effetti ce n’è abbastanza nell’aria da morire soffocati!
Si siede e comincia a prendere i libri, e dopo avergli spiegato l’esercizio, lo osservo intento a risolverlo.
E’ cresciuto, è più alto, comincia ad assumere una struttura più imponente. Cresce, non solo fisicamente. Fino all’anno scorso ignorava l’esistenza del profumo, e di quei piccoli accorgimenti che ti fanno sentire più carino: un po’ di gel nei capelli, l’abbinamento dei colori dei vestiti.
Mi ritrovo a pensare alla mia, di adolescenza: anch’io esageravo con il profumo, o con il trucco, e giravo per casa come Moira Orfei (ahah!). Le prove allo specchio per far uscire dritta la linea dell’eye-liner, per stendere bene il fondotinta, e adesso che lo so fare uso solo un po’di matita e mascara.
Nel mentre dei miei pensieri, lui termina l’esercizio. Mette via i libri di matematica e prende la tavola di arte: deve disegnare la Venere di Willendorf.
Panico: mi assale l’imbarazzo. Ok, è una scultura, un’opera d’arte, ma è sempre un nudo e sono in difficoltà, incapace di nominare le parti del corpo femminile in presenza di un ragazzino di 11 anni. Infatti non lo faccio, e indicando il foglio mi limito timidamente a suggerirgli “aggiusta qui”, “arrotonda di qua”. Ci pensa lui a fare l’adulto dicendomi di cancellare il “seno”, perché non gli è venuto bene. Ed io mi vergogno ulteriormente, perché sono io l’adulta e non l’ho saputa fare, e in più, in maniera naturale l’ha fatto lui, al mio posto.
E penso al fatto che poi tanto adulta non sono, e nemmeno mi ci sento: la devo fare, ci si aspetta da me che lo sia, mi ci trattano, ma non lo sono.
Sono quella ragazzina che sorriderà sempre, imbarazzata, quando si parlerà di sesso, il cui viso diventerà sempre rosso anche se cercherà di dissimulare.
Sono quella ragazzina che, però, amerà scherzarci su.. come per esorcizzare la sua insicurezza verso quel sesso "anarchico e misterioso" (Loran).
Sono una di quelle due bambine che, guardando Julienne e Michael* abbracciarsi e ballare sul traghetto, dice teneramente che stanno facendo l’amore.

Sarò sempre la “piccola Joey Potter”** che, dovendo ritrarre Jack, di fronte al suo corpo seminudo non saprà se scappare o restare.


*Il matrimonio del mio migliore amico
**Dawson’s creeck

4 novembre 2010

Prospettive universitarie

Qualche giorno fa, cercando di mettere in ordine alcuni appunti salvati in sottocartelle di sottocartelle di sottocartelle.. mi sono ritrovata davanti questa mail non spedita, che per comodità avevo cominciato a scrivere su Word.

Me n’ero dimenticata. Della mail, ma soprattutto del periodo di cui parlo e di tutto ciò che mi portavo dentro. Frustrazione, senso di sconfitta, la sensazione che gli enormi sacrifici che solo uno studente universitario può capire non sarebbero bastati. Era arrivata a credere di voler mollare, nonostante gli esami sostenuti non fossero poi pochi e alcuni voti molto buoni.

Scrivevo a qualcuno che potesse capirmi, da cui sentirmi compresa. Scrivevo, ma senza un destinatario preciso. Forse però, adesso, capisco che scrivevo semplicemente a me stessa. A questa me stessa.

Credo sia stato il mio secondo periodo (universitario) buio. Ripensare al primo, invece, mi diverte.
Dopo la primissima lezione, spaventata sia dalle novità, sia dal discorso della professoressa (che avrebbe dovuto invogliarci a non demordere!!), sull’autobus che mi riportava a casa giurai che con l’università avevo chiuso. E così feci, per tre settimane non volli avere niente a che fare con le lezioni, con i libri, neanche con chi l’università la frequentava da studente!
Ringrazio ancora quella mattina che mi svegliai con la sensazione di star facendo il peggiore degli sbagli.

Per tornare all’e-mail, la scrissi una notte calda d’agosto, sul letto, con la luce dello schermo che illuminava i tasti. E ogni tanto, attraverso la finestra, alzavo gli occhi al cielo, un cielo nero che piangeva stelle militanti, stelle deficienti.

Rileggendola con gli occhi di oggi mi sono commossa da sola.
Lo dico sempre, che bisogna allontanarsi un po’ da quello che ci sembra un problema insormontabile e guardarlo con sana distanza, ché così fa meno paura. Lo dico...


10 agosto 2009, ore 1.17

E la chiamano crisi esistenziale…

Tu lo sai che vuoi dalla vita? Io si. Beh, una volta.. adesso non più..non so.

Cos’è cambiato? Provo a chiedermelo e credo di saperlo… ho sbattuto i denti contro la realtà vera.

Finchè sogni credi che andrà tutto liscio, così come te lo immagini… mi si prospettava davanti una “buona carriera universitaria”, idea basata anche, anzi soprattutto, sui miei successi al liceo… ma, come dice Hume, niente ci dà la certezza che se fino ad adesso una certa cosa è andata bene, lo farà anche in futuro… Di fatti…

Mi ritoverò a settembre ad essere un anno fuori corso. E non so neanche il perché. Cioè, so che avrei dovuto studiare di più, ma non so come avrei dovuto fare a trovare quel tempo in più… no,meglio, quella voglia in più.

E mentre mi lambicco il cervello cercando una risposta, penso anche al fatto che IO NON ERO così. Sono sempre stata una ragazza studiosa, appassionata.. Ho scelto psicologia con l’idea che un giorno avrei potuto aiutare qualcuno… non so se quel giorno arriverà mai.

Cos’è cambiato in me? Saturazione del cervello? È possibile?...sarebbe bello se fosse possibile, almeno non dipenderebbe dalla mia volontà…

Ahhhhhhhhhhhhhhhh…. vorrei gridare, un urlo liberatorio!!! Ma che dovrei liberare? Che c’è che mi opprime?..eh, è la PAURA DEL FUTURO. Perché adesso come adesso non so più cosa voglio.

Mi chiedo se questa crisi la sto avendo a causa di questo “ritardo” della agognata laurea, o perché denota una insofferenza più profonda, che riguarda la scelta della facoltà… possibile che ci siano voluti tre anni per capire che psicologia non fa per me?

No, non è così.

Ricordo il primo anno, anzi precisamente la fine del primo anno, l’entusiasmo che mi prendeva quando pensavo che un giorno sarei stata una psicologa… io psicologa…
Stavo lì a fare discorsi immaginari con ragazzi appena diplomati che mi chiedevano se dovessero optare per una scelta che li portasse al lavoro certo, o se dovessero scegliere di seguire la passione, il cuore… e io rispondevo la seconda, perché quella era stata anche la mia scelta, e insistevo anche dicendo di non aver paura perché se nelle cose che si fanno si mette amore e determinazione, sicuramente un giorno avrebbero dato dei frutti..

La costanza. Ecco che mi manca, che mi manca adesso. No… non si chiama costanza.. è il “non crederci più”..non so.. mi fa anche strano dirlo, io che non ci credo più! Ma quando mai??? Io sono l’ultima dei sognatori, quella che non si arrende neanche quando tutto è finito… Ma che mi sta succedendo??

Ogni tanto, ultimamente sempre più spesso, penso a come cambiare la mia vita… penso a come sarebbe se potessi aprire una libreria, un negozio di scarpe, un bar… oppure fare una scelta più audace, partire e girare il mondo, tornare solo per dare gli esami e ripartire alla volta di un’altra terra da scoprire… oppure imbarcarmi e lavorare su qualche nave da crociera… e lasciare l’università...

Ma poi penso al mio primo sogno, quello che c’è sempre stato, io laureata… anche solo per dire ce l’ho fatta!

Speriamo che passi presto…
Questa che chiamano crisi esistenzaiale.


Tra una settimana mi laureo. Evaffancul’allecrisiesistenziali!

30 ottobre 2010

Regalati un po' di indulgenza

Pomeriggio assolato, aria pungente che ti fa sentire viva. Prendo la macchina e, ordinando al lettore di sputare il cd che ascolto ossessivamente da una settimana (grazie, Matteo!), metto su Tiziano. Glielo, e me lo devo, perché mi sto portando dietro il suo libro, e se continuassi a leggere senza riascoltarlo, mi perderei delle sfumature delle sue parole, scritte e cantate. E non mi va.
Guido verso il mare, cosa che ho fatto più spesso nell'ultima settimana che in tutta l'estate.

Già mi sento bene.

Non scelgo il solito posto, però. Aria di cambiamenti, seppur piccoli. Ma da qualche parte bisogna iniziare.

Parcheggio e mi avvio verso il un lembo di "strada" sul mare: da un lato ci sono un paio di trabocchi, che se andate su wikipedia leggerete "antiche macchine da pesca", ma definirli così mi fa proprio ridere (mica si muovono, sono delle specie di casette in legno)!

Ci sono altre forme di vita umana (peccato!): un paio di famiglie, i bambini che mangiano il gelato, molti anziani con le schiene curve, qualche pescatore. E ci sono io, che mi aggiro goffamente con il libro e le chiavi della macchina in mano perché non ho preso neanche la borsa. Volevo solo leggere, e invece adesso ho voglia di passeggiare.
Anche perché realizzo che fermarmi a leggere in mezzo a quelle persone mi farebbe sentire ancor più in imbarazzo, così non mi rimane altro che camminare.

C'è una coppia di sportivi, moglie e marito suppongo, che fanno jogging, e in più parlano fitto fitto, sembrano litigare. Sono così presi dalla loro discussione e dalla attività ginnica... che mi viene da dirgli di stare un attimo zitti, rallentare e godersi la meraviglia che hanno intorno, così magari si rilassano anche un po'.
Mi sorpassano un'ultima volta, mi sono alle spalle e con loro lascio andare anche il nervosismo che mi hanno messo addosso.

Torno ad essere serena e a riempirmi gli occhi di azzurro.
Incrocio lo sguardo con un ragazzo, carino. Passeggia con una tipa, ma non sembrano molto intimi. Ridono, probabilmente sono solo amici. Ma forse perché... già.

Torno verso la macchina, e non mi ero accorta che, un po' nascosto, c'è un fotografo.

Ecco. Mi fermo a pensare che ho molto poco in comune con le persone che passeggiano, con quelle che vivono in modo attivo, che smuovono il culo per cambiare le cose.

Io no, faccio parte di quelli che aspettano e sono fermi: faccio parte dei pescatori che pazientemente attendono di sentir tirare la canna, sono il fotografo che attende la luce giusta, il momento perfetto.
L'attesa. Sempre l'attesa.

Ma c'è di buono che questa volta non mi sento tanto miserabile per questo. Anzi.

..che il consiglio di Tiziano che ho letto stamattina, sempre su una panchina al mare (ma nel solito posto), abbia sortito qualche effetto? :)

26 ottobre 2010

Piero e Lucia

Piero è un metalmeccanico. Lavora in fonderia.
Da trent’ anni si reca ogni giorno in fabbrica alle sei in punto di mattina. Esce che è tarda sera.
Otto ore non bastano. Sono necessari gli straordinari per far quadrare i conti a casa.
La figlia maggiore studia medicina. Vuol fare la ginecologa da grande. Gli affitti a Milano sono carissimi.
La più piccola è esclusa dal giro di amiche se non veste le griffe. Il mutuo incombe a fine mese, ma non si riesce a dire no ad un'adolescente dagli occhi lucidi.
Lucia, la moglie, dopo la prima gravidanza ha smesso di lavorare. Fa la casalinga e assiste nonna Giovanna che è molto anziana e ha bisogno di cure.

Piero è un uomo all'antica.
Lo conoscono tutti in fabbrica: un insuperabile lavoratore. Sempre disponibile, non ti direbbe no neanche se gli chiedessi un cambio-turno il giorno di Natale.
Il peso di una vita di sacrifici segna profonde rughe. Leva il sorriso e irrobustisce le spalle. Quelle di Piero, sono spalle massicce.

Piero è un uomo d'un pezzo.
Un padre di famiglia come tutti ce lo immagineremmo.
E non ha il benché mimino dubbio che la sua vita sia quella.
Senza mai una vacanza, senza mai un plauso a lavoro, ma con una famiglia.
Qualche volta la sera, Piero esce da lavoro ma non fa subito ritorno a casa.
Compra pizze da asporto per cena prima di rientrare.
Prima però si ferma al tabacchi. Prende il suo solito pacco di sigarette.
Piero ha un segreto.
Scarta l'involucro, prende una cicca, la mette in bocca. L'accende.
Il telefono dà segnale libero mentre tira la prima boccata di fumo, poi dall'altro capo qualcuno risponde.

- "Pronto."
- "Roberto, sono Piero, sei libero stasera?"
-“Ho un cliente tra un’ora, sbrigati!”
- "Sarò a casa tua tra... 15 minuti”.

Lucia è una ragioniera. I suoi genitori ci tenevano che prendesse almeno il diploma.
Portava i conti in una ditta di materiali edili, fino a che non è rimasta incinta.
Piero è un uomo d’onore, non ci ha pensato due volte a sposarla. Lei ha imparato a conoscerlo e ad amarlo negli anni, tanto che se tornasse indietro lo sposerebbe di nuovo.
Ecco, sì, magari farebbe solo le cose con più calma, per godersi un po’ più la giovinezza.
Ma poi sorride di questo pensiero, e po’ se ne vergogna, ha una famiglia che le riempie le giornate, due figlie splendide e un marito presente. Non potrebbe chiedere di più.
La madre la riporta alle sue faccende, la chiama per farle accendere la tv, “che almeno qualcuno mi faccia compagnia in questa casa, cazzo”.
Chissà perché la vecchiaia rende così scorbutici, pensa Lucia.

Lucia da troppo tempo si è accorta che qualcosa, nel suo matrimonio, non va.
Troppi silenzi, troppe omissioni.
Piero che fa tardi sempre più spesso, il telefono staccato, il suo nervosismo mentre poi si sveste, quando butta i vestiti sul fondo del cesto dei panni sporchi e corre sotto la doccia. I suoi occhi evasivi.
E non la bacia perché dice di essere sporco. Ma l'acqua non laverà via il suo senso di colpa, neanche stanotte.

Lucia sa che qualcosa non va.
Quello che non sa è come chiedere. Perché non può chiedere. Che ne sarebbe dei loro 27 anni insieme?
Che ne sarebbe di lei?
Lucia sa che potrebbe annusare i suoi vestiti, alla ricerca di un profumo che non è il suo.
Potrebbe guardare nel telefono, e cercare un numero che non conosce. Potrebbe chiamare, e ascoltare rispondere la voce di un uomo.
Ma non lo fa. Perciò non lo fa. Non le serve avere conferme, non le serve avere certezze. Quello che vuole è che la sua vita non cambi, che i suoi affetti non si stravolgano. Non vuole che il suo castello di sabbia si sgretoli, così.

Lucia non può far altro che tacere, e assecondare, in silenzio, il segreto del marito.
In fondo è sempre stato un uomo buono, un lavoratore instancabile. Non ha mai fatto mancare nulla, a lei e alle figlie, annullandosi per loro.
Ci sta che un uomo in una vita di sacrifici abbia qualche momento di "svago", qualche momento per lui.
E poi potrebbe essere tutto frutto della sua mente, gliel'hanno sempre detto le sue figlie, con il loro gergo giovanile, che si "fa sempre troppi trip". Sì, è così, che vai a pensare.

E allora continua a preparargli la cena, a stirargli le camicie. Continua a svegliarsi, di notte, per coprirlo, perchè lui le lascia la maggior parte della coperta, rimanendo solo col lenzuolo: lei gliela dà vinta, così lui è contento. Tanto rimedia poi. Non si riaddormenta subito, ma continua a guardarlo dormire per un po', in silenzio, mentre ripensa a come lui le era stato vicino quando si era dovuta operare al seno. Aveva vegliato su di lei, non lasciandola mai sola.
Continua a massaggiargli le mani indurite con un po' di crema, cosa che lui fa finta di rifiutare perché "è una cosa da femmine", ma in cuor suo Piero le è grato di quel gesto. Le è grato del suo prendersi cura di lui. Le è grato per le sue non-domande.

Quelle mani che stanotte stringono un altro corpo, perché Piero non è tornato a casa.
Piero che cerca se stesso nel letto di Roberto.
Lucia che, accarezzando il suo cuscino, cerca Piero nel loro.


(scritto a quattro mani con 88 tasti, che ringrazio)

23 ottobre 2010

E svegliarsi la mattina...

..con il sorriso sulle labbra e una canzone nella testa. Nel tepore del letto abbandonarsi al ricordo del sogno appena fatto.
Proseguire su quella scia e richiamare alla memoria piccoli particolari che abbiamo vissuto insieme, le tue partite di calcio nel corridoio delle elementari, le confidenze, il tuo disegno sul mio diario segreto, la tua ingenuità.
Il tuo buon cuore.
Gli occhiali che portavi alla cena di classe di qualche anno fa. Non te l'ho detto ma ti stavano bene, sai?
Quella sera non ti ho neanche detto che ti ringraziavo, in silenzio, per aver fatto il primo passo e esserti avvicinato tu.
Strano avere di fronte un uomo e guardare il bambino. L'imbarazzo che prende il posto che una volta era della spontaneità, poche domande e molti sorrisi. Chissà a quale aneddoto stai ripensando.
Ma adesso dimmi com'è andata? Com'è stato il viaggio di una vita lì con te?

Ci siamo persi, ma ogni tanto, di notte, torniamo ad essere quei due bambini. Era un po' che non ti sognavo, chissà perché proprio stanotte.
Non c'era niente intorno, solo io e te.
E il nostro abbraccio.


17 ottobre 2010

Piano B

Domattina farò una telefonata. Proferirà il mio futuro.
Digiterò le cifre, mi accerterò di essere in linea e aspetterò ascoltando il mio respiro perso nel tuuu tuuu del telefono.
Spererò che quello per cui mi sono impegnata si avveri. Adesso.

Tre giorni fa mi sono fatta una proposta.
Si dovrebbe dire “una promessa”, ma se la chiamo così poi non la mantengo.

Domattina farò una telefonata. Proferirà il mio futuro.
Digiterò le cifre, mi accerterò di essere in linea e aspetterò ascoltando il mio respiro perso nel tuuu tuuu del telefono.
Spererò che quello per cui mi sono impegnata non si avveri. Non adesso.

Tre giorni fa mi sono fatta una proposta.
Si dovrebbe chiamare "piano B", ma se lo chiamo così poi non lo metto in atto.

Domattina farò una telefonata. Proferirà il mio futuro.
Digiterò le cifre, mi accerterò di essere in linea e aspetterò ascoltando il mio respiro perso nel tuuu tuuu del telefono.
E non saprò che sperare.

14 ottobre 2010

"Dove sei adesso?", mi chiede.

Sono nelle note di Battisti.
Nella pioggia prima che cada.
In un’inquadratura di Ozpetek.
Nella linea sottile tra dormire e sognare.
Negli occhiali scuri di Mina.
Nel rovescio della medaglia.
Nel libro che profuma di cannella.
In uno sguardo che sai leggere.
Nel bucato steso ad asciugare.
Nel sottofondo delle canzoni di Tiziano Ferro.
Nell’istinto di un neonato.
Nei Fa9.
Nella passione che mosse Freud.
In un carcere iraniano.
Nelle promesse di un matrimonio.
Nella goccia del lavandino che perde.
In una stanza quasi rosa.
Sulla nave di Novecento.
Nella crostata di nonna.
Nel vento che pettina Anna Merini.
Nella barba incolta di quel quarantenne.
Nelle poesie di Montale, e di Leopardi.
Nella malinconia della sera.
In un’equazione irresolubile.
Nella valigia di mia sorella.
In “Ho perso le parole” di Ligabue.
Tra le briciole sulla tovaglia.
Nella “favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’illude, o Ermione”.
Tra le ciglia di un bambino.
In un messaggio non inviato.
In un negozio di antiquariato.

Sul ponte, con l’elastico, che guardo in giù. E non so se buttarmi o no.
Mentre mi ripeto che La paura non esiste.

13 ottobre 2010

Che porco giuda potrei essere io qualche anno fa

Escono da un portone.
Lui, i lobi delle orecchie allargati, jeans scuri oversize e una t-shirt con una scritta gialla, il nome di qualche gruppo rock più o meno famoso. Sta per perdere le scarpe, tenute con i lacci così larghi. Occhi azzurri, limpidi, che si vedono fin da qui. Lo sguardo timido, tenuto basso per difendersi dal mondo.
Lei è luminosa. È proprio vero. La matita nera all’orientale, che le incornicia gli occhi scuri. I capelli rasta, tenuti insieme da una molletta consumata. Bracciali etnici, una maglia larga, leggins e ballerine. Deve stare comoda, manca poco.
Lo guarda un po’ perplessa, ma sorride. Gli sorride per quel suo gesto, impacciato e tenero, che poco si addice ai loro anni, al loro abbigliamento.
Dev’essere un musicista. Un chitarrista, o un bassista, per la precisione. Tiene le dita vicine, pollice e indice uniti come se stesse tenendo un plettro. Forse per lui è un gesto naturale, lo fa sentire al sicuro.
Lei sembra più estroversa. Gli dice qualcosa, prova a scherzare. Forse vuole metterlo in imbarazzo. Le riesce, lui la guarda e non dice niente, ma è divertito. Si studiano, si scrutano, stringendo un po’ gli occhi. Complici.
E ridono.
Le porge un braccio per scendere uno scalino un po’ troppo alto. Lei si lascia aiutare.
Con una mano stringe quella di lui.
L’altra, protettiva, sulla pancia.

11 ottobre 2010

Riverberi

Mi parla, e io non sento cosa dice.
Non voglio sentire.
E’ arrabbiato con me perché non lo ascolto.
Mi fa tenerezza. Ha ragione, è tanto tempo che ho smesso di considerarlo.
Mi sorride un po’ imbarazzato, e sembra non capire.
No, non può capire.
Ma la colpa è mia.
Vorrebbe che ci volessi più bene.
Dillo, mi sussurra. Dillo.

Ma lui mi parla, e io non sento cosa dice.

4 ottobre 2010

Cose da fare:

prendere un cane;
iniziare a fumare.


http://civuoleuntitoloadatto.blogspot.com/2010/09/quanto-dura-unamicizia.html

Going to.

Ridere, ridere, ridere.
Le risate trattenute, le risate condivise, le risate che esplodono.
Le risate di cuore. Quelle che poi piangi, e ti fanno male la pancia e le guance.
Amo le risate delle persone care, dei miei amici.

Amo sentirla ridere, guardare il viso che le si illumina e gli occhi che risplendono.

Amo sentirlo ridere, al telefono, mentre va incontro alla vita.

2 ottobre 2010

Sopravvivenze.

Il pesce grande mangia il pesce piccolo. Il pesce grande mangia il pesce . Il pesce grande mangia il . Il pesce grande mangia . Il pesce grande . Il pesce . Il .   .

Beh,

forse Paul aveva ragione.

30 settembre 2010

Paul dice che...

Paul dice che, quando stiamo per avere un attacco d'ansia e ci tremano le gambe, dobbiamo ricordarci che è solo frutto della nostra mente.
Dice che siamo noi a produrre lo stato di agitazione, e allo stesso modo siamo in grado di contrastarlo; che dobbiamo ripeterlo a noi stessi.
Paul dice che funziona, che l'ha provato su se stesso.

Paul dice un sacco di cazzate.

12 settembre 2010

A.A.A. orientamento sessuale cercasi!

"Il mondo non è diviso in pecore e capre. Non tutte le cose sono bianche o nere. È fondamentale nella tassonomia che la natura raramente ha a che fare con categorie discrete. Soltanto la mente umana inventa categorie e cerca di forzare i fatti in gabbie distinte. Il mondo vivente è un continuum in ogni suo aspetto. Prima apprenderemo questo a proposito del comportamento sessuale umano, prima arriveremo ad una profonda comprensione delle realtà del sesso." [A. Kinsey]
Definire è limitare. Limitato è chi definisce.

7 settembre 2010

Ligabue (di nuovo)

"Hai provato a far capire
con tutta la tua voce
anche solo un pezzo di quello che sei".

5 settembre 2010

Mi ami? Ma quanto mi ami?

E' più forte di me. Quando sento nei film, o peggio, nella vita reale, donne che pongono queste fatidiche domande ai loro partner (che per tutta risposta le guardano con un occhio spalancato e vitreo come a dire "e mo che le rispondo?") non posso non lasciarmi scappare un sorriso sarcastico. Una smorfia di compatimento.
Lo so, è brutto a dirsi, considerando che anch'io faccio parte del genere femminile, ma io 'ste donne non le capisco proprio. Ma che vuoi che ti risponda??? "No, sto con te solo per passatempo"; "no, mi servi come tappabuchi"; "ni, ma continua a stirarmi le camicie, cara!" o ancora peggio "Si, ti amo più della mia stessa vita"??? (bleeeeeahh! e non perché è smielato, ma perchè IRREALE!).
Perché, diciamocelo, il fatto di chiederlo è già indice che qualcosa non vada nel rapporto. Pensate che chiedendolo i vostri dubbi si scioglieranno, che se sentiste il vostro fidanzato mentire potreste tornare da brave a nascondere la testa sotto la sabbia??
Ma poi, a che pro? Perchè ledere la propria dignità fino a questo punto?
Che poi non è neanche una questione di orgoglio; è, come dire, che sarebbe meglio non chiedersi (e chiedere) nulla. Accontentiamoci di quello che vediamo con i nostri occhi, affidiamoci alle nostre percezioni, alle nostre senzazioni, se proprio vogliamo sapere. 

Adoro questo estratto del libro Storia dell'assedio di Lisbona di Saramago:
"Mi ami?, e lei se ne sta zitta, guardandolo soltanto, impassibile e distante, rifiutando di pronunciare quel no che lo distruggerà, o quel sì che li distruggerebbe. Concludiamone dunque che il mondo sarebbe assai migliore se ciascuno si accontentasse di quello che dice, senza aspettarsi che gli rispondano, e soprattutto senza chiederlo né desiderarlo."

1 settembre 2010

Quella che SONO.

Io ti ho vista già,
eri in mezzo a tutte le parole che non sei riuscita a dire mai.
Eri in mezzo a una vita che poteva andare ma
non si sapeva dove...
Ti ho vista fare giochi con lo specchio
e aver fretta di esser grande
e poi voler tornare indietro quando non si può.

Quella che non sei
quella che non sei non sei
ma io sono qua e se ti basterà
quella che non sei, non sarai
a me basterà.

C'è un posto dentro te in cui fa freddo
è il posto in cui nessuno è entrato mai
quella che non sei.

Io ti ho vista già eri in mezzo a tutte le tue scuse
senza saper per cosa.
Eri in mezzo a chi ti dice "scegli: o troia o sposa".
Ti ho vista vergognarti di tua madre
fare a pezzi il tuo cognome
sempre senza disturbare che non si sa mai.
Quella che non sei
quella che non sei non sei
ma io sono qua e se ti basterà
quella che non sei, non sarai
a me basterà.

C'è un posto dentro te che tieni spento
è il posto in cui nessuno arriva mai
quella che non sei.

Ti ho vista stare dietro a troppo rimmel
dietro un'altra acconciatura
eri dietro una paura che non lasci mai.

Quella che non sei
quella che non sei non sei
ma io sono qua e se ti basterà
quella che non sei, non sarai
a me basterà.

C'è un posto dentro te in cui fa freddo
è il posto in cui nessuno è entrato mai.

[Quella che non sei - Ligabue]

19 agosto 2010

Lo tengo per me

Oggi riflettevo sul fatto che molto spesso, contrariamente all'opinione comune, si tende a parlare molto poco si quello che ci piace realmente. Cioè, questo è vero almeno per me.
Sono due mesi che ho aperto questo blog, e non ho fatto ancora menzione di quello che mi appassiona nella vita. Prima di tutto la Psicologia. L'ho scelta come professione, e spero vivamente di riuscirci; come tutti gli studenti universitari, ho avuto anch'io i miei momenti di alti e bassi. Pur riuscendo a mantenere una media abbastanza alta, più volte ho pensato di abbandonare, vinta dalla stanchezza o dai sacrifici. Ma non l'ho fatto. Non l'ho fatto. E adesso, che manca un solo esame e sono prossima alla laurea (triennale, eh!) guardo al futuro con più fiducia. Sono serena, e non so se dovrei esserlo perchè gli impedimenti che potrebbero far slittare quel giorno ci sono e sono reali, ma visto che le mie reazioni sono molto spesso il contrario di ciò che ci si aspetta, mi godo questa serenità. E vaffanculo.
Ho cominciato a scrivere la tesi un mesetto fa, e ho cominciato proprio dalla fine, dai ringraziamenti. E si, io sempre al contrario degli altri! ..non so, ma mi sembrava che così avesse più senso, è stato come un bisogno primario e mi premeva davvero ringraziare chi mi ha portato a questo momento
"Un grazie di cuore va a mia mamma.
Ogni suo singolo passo è stato per noi, le sue figlie.
A mio padre, che mi ha insegnato ad amare le piccole cose.
A mia sorella. Ai suoi occhi che luccicano di meraviglia.
Ai miei nonni, che mi hanno supportato moralmente e materialmente.
Questo piccolo traguardo lo dedico a loro. Oggi si laureano anche loro, con me.
Ai parenti, e agli amici, tutti. Grazie.
Alla “mia persona”. Lei sa.
Alla passione, che muove il mondo.
Ai sogni. I miei."
Oggi l'ho finita. E mi sento come se avessi scalato una montagna, sebbene le montagne reali devono ancora arrivare. Ma io, stasera, non ho paura di andargli incontro.
Un'altra fonte di emozione, nella mia vita, è la musica. Ascoltarla, ma soprattutto suonare la chitarra (classica).

"Pensavo: è bello che dove finiscono le mia dita debba in qualche modo incominciare una chitarra." [F. De Andrè]

E si che non avete di fronte (metaforicamente) un mostro sacro, ma mi piace, mi riempie. Ecco, si, questa è la parola giusta, mi riempie l'anima. Alcune volte, mentre canto e suono (canzoni della musica leggera soprattutto italiana), devo fermarmi a ripendere fiato perchè le emozioni che mi percorrono me lo tolgono. Oppure perchè per non rovinare il momento, o meglio presa dal momento, mi dimentico di respirare. Emozionarsi al punto di smettere di respirare.. questo fa la musica. E qualche volta sbaglio accordo o esce uno stridolio, e molto spesso stono, ma il risultato non cambia.. miglioni di brividi che mi percorrono la pelle, che sento nella pancia e le lacrime che salgono e lucidano gli occhi. Tutto questo però succede solo quando sono da sola; insieme agli altri non mi sento a mio agio, e mi vergogno a parlare, figuriamoci a far uscire questa parte così intima di me. 
Dei libri invece lo sapete, da come si può vedere anche dal badge di Anobii. A proposito, se siete iscritti e vi va contattatemi o "vicinizzatemi" (come si suol dire) e ditemi che leggete il mio blog.. magari vi potrò rubare qualche prezioso capolavoro! I libri sono una parte importante, anzi fondamentale. Per chi come me, preferisce vivere di "luce riflessa" che esporsi in prima persona, costituiscono un modo per arrivare in tempi e luoghi a noi lontani, letteralemente o metaforicamente che sia. Sono il mezzo per volare di fantasia.
Ci danno il la. Come la musica.

18 agosto 2010

Odi et amo

Odio il francese. E odio Carla Bruni.
E allora perchè mi ritrovo a canticchiare queste frasi?
"on me dit que le destin se moque bien de nous
qu'il ne nous donne rien et qu'il nous promet tout
parais qu'le bonheur est à portée de main,
alors on tend la main et on se retrouve fou
pourtant quelqu'un m'a dit.."

6 agosto 2010

Grigio in musica

Sono un Fa9. Sgraziato, stonato, fastidioso. Inutile, dal momento che non si suona quasi mai.
E non sarò mai un Re, armonioso, altisonante, sensuale, gioioso. Ma non sarò neanche mai un La.

Fanculo ai Fa9.

28 luglio 2010

"Respirano il silenzio, senza cercare parole."

Ennesimo triangolino di pagina piegato. La pagina in questione è quella che contiene la frase, adoperata come titolo a questo post.
E' una mania, la mia: piegare le pagine più significative dei libri. Quelle che in un battito di ciglia voglio ritrovare, poi. Non un segno della matita: mi sembra di violarle quelle righe, di seviziarle con un bisturi. Così mi ritrovo a piegare l'angolo inferiore della pagina.
E stasera l'ho fatto diverse volte.
Eh sì, il libro è lui, sempre Baricco. Sempre Castelli di rabbia.
Ma non temete, l'ho finito. Almeno per un po' non sentirete più parlarne.
E' un "vizio" che ho, ormai, da diverso tempo. Eppure nello scaffale trovo ancora dei libri non piegati, che risalgono ai primi anni delle mie letture. Oddio, detto così sembra chissà quale illustre colta io sia. No, niente del genere. Mi piace leggere, è vero.
Ma solo quello che dico io.
Niente letture pesanti, pallose; niente libri che "si dovrebbero assolutamente leggere", perché "non puoi non conoscerlo"! E chi l'ha detto??? Io leggo quello che mi pare, o sennò non leggo per niente. Punto.

Solo un libro, tra gli altri, non ha pagine segnate. E non perché è precedente alla comparsa della mia abitudine, ma perché mi pare di trafugarlo. Non ho avuto il coraggio, e non ce l'ho ancora. Equivarrebbe a dire "questo sì, questo no". E di quel libro niente, e dico niente, può essere eliminato. Neanche una virgola. Neanche uno sbuffo di inchiostro scappato per caso, o per usura della stampante.
Quel libro che profuma di, dolcissima, cannella.

25 luglio 2010

Sui treni, per salvarsi, leggevano.

[...] Nel senso che forse, sempre, e per tutti, altro non è mai, leggere, che fissare un punto per non essere sedotti, e rovinati, dall'incontrollabile strisciare via del mondo. Non si leggerebbe nulla, se non fose per paura. O per rimandare la tentazione di un rovinoso desiderio a cui, si sa, non si saprà resistere. Si legge per non alzare lo sguardo verso il finestrino, questa è la verità. Un libro aperto è sempre la certificazione della presenza di un vile - gli occhi inchiodati su quelle righe per non farsi rubare lo sguardo dal bruciore del mondo - le parole che a una a una stringono il fragore del mondo in un imbuto opaco fino a farlo colare in formine di vetro che chiamiamo libri - la più raffinata delle ritirate, questa è la verità. Una sporcheria. Però: dolcissima. Questo è importante, e bisognerà ricordarlo, e tramandarlo, di volta un volta, da malato a malato, come un segreto, il segreto, che non sfumi mai nella rinuncia di nessuno o nella forza di nessuno, che sopravviva sempre nella memoria di almeno un'anima sfinita, e lì suoni come un verdetto capace di far tacere chicchessia: leggere è una sporcheria dolcissima. Chi può capire qualcosa della dolcezza se non ha mai chinato la propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro? No, quella è la sola e la più dolce custodia di ogni paura - un libro che inizia. Così che, insieme a migliaia di altre cose, cappelli, animali, ambizioni, valigie, soldi, lettere d'amore, malattie, bottiglie, armi, ricordi, stivali, occhiali, pellicce, risate, sguardi, tristezze, famiglie, giocattoli, sottovesti, specchi, odori, lacrime, guanti, rumori - insieme a quelle migliaia di cose che già sollevavano da terra e lanciavano a velocità prodigiose, quei treni che rigavano avanti e indietro il monfo come ferite fumanti si portavano dentro anche la solitudine impagante di quel segreto: l'arte di leggere. Tutti quei libri aperti, infiniti libri, come finestrelle aperte dentro il mondo, seminate su un proiettile che offriva allo sguardo, solo si avesse avuto il coraggio di alzarlo, lo sfavillante spettacolo del mondo fuori. Il dentro del mondo e il mondo di fuori. Il dentro del mondo e il mondo di fuori. Il dentro del mondo e il mondo di fuori. Il dentro del mondo e il mondo di fuori. Alla fine si finisce così, che in un modo o nell'altro ancora una volta, si sceglie il dentro del mondo, mentre tutt'intorno ti sferraglia la tentazione di farla finita una buona volta e di rischiare a vederlo, questo mondo di fuori, cosa mai sarà, possibile che sia davvero così pauroso, possibile che non se ne andrà mai questa vigliacca paura di morire, di morire, morire, morire, morire, morire, morire? [A.Baricco, Castelli di rabbia]

Schifezze - un paio nella vita.

Mi riallaccio al post precedente.
Quando lessi quello stralcio tratto dal libro di Baricco, subito mi si inumidirono gli occhi. Pensai alla mia patetica vita, e al fatto che "sarei morta di nostalgia per qualcosa che non avrei mai vissuto" (altra citazione baricchiante), cioè per le schifezze che -non solo non ho mai/ancora fatto- ma che probabilmente non mi sarebbe mai capitate di fare. Perchè io non sono una che fa schifezze. Non sono una che riuscirebbe a dormire, dopo averle fatte. Perchè non mi sentirei pulita. E questo mi fa pensare ad una frase che mi ripete spesso mia mamma .. "tu non mangeresti per non dover lavare i piatti". Il che non è completamente vero, perchè io mangio, eccome. Il problema è che mangio, o mangio più volentieri, se c'è qualcuno che fa i piatti al posto mio. Ergo le schifezze le farei anche, ma ci dovrebbe essere qualcuno che le pagasse al posto mio.
E, oltre a dover pagare, dovrebbe anche avere il coraggio di farle, di sporcarsi, di imbrattarsi.. avere il coraggio che manca a me. Di fare una schifezza. Di toppare, di sbagliare, di uscire dalla "diritta via", di peccare, di macchiarsi.
Poi, in effetti, ripensai che in un periodo della mia vita ci andai molto vicino al fare una schifezza. Sarebbe stata davvero una porcheria.
Sorrisi.
Contenta di averle ancora, entrambe, le due schifezze che mi spettano.

24 luglio 2010

Schifezze - rispose.

- Cosa sono le schifezze?
- Sono le cose che nella vita non bisogna fare.
- E ce n'è tante?
- Dipende. Se uno ha molta fantasia, può fare molte schifezze. Se uno è scemo magari passa tutta la vita e non gliene viene in mente neppure una.
[...]
- Mettiamola così. Uno si alza al mattino, fa quel che deve fare e poi la sera va a dormire. E lì i casi sono due: o è in pace con se stesso, e dorme, o non è in pace con se stesso e allora non dorme. Capisci?
- Si.
- Dunque bisogna arrivare alla sera in pace con se stessi. Questo è il problema. E per risolverlo c'è una strada molto semplice: restare puliti.
-Puliti?
- Puliti dentro, che vuol dire non aver fatto niente di cui doversi vergogare. E fin qui non c'è niente di complicato.
- No.
- Il complicato arriva quando uno si accorge di avere un desiderio di cui si vergogna: ha una voglia pazzesca di qualcosa che non si può fare, o è orrendo, o fa del male a qualcuno. Okay?
- Okay.
- E allora si chiede: devo starmene a sentire questo desiderio o devo togliermelo dalla testa?
- Già.
- Già. Uno ci pensa e alla fine decide. Per cento volte se lo toglie dalla testa, poi arriva il giorno che se lo tiene e decide di farla quella cosa di cui ha tanta voglia: e la fa: ed eccola lì la schifezza.
- Però non dovrebbe farla, vero, la schifezza?
- No. Ma sta' attento: dato che noi non siamo calzini ma persone, non siamo qui con il fine principale di essere puliti. I desideri sono la cosa più importante che abbiamo e non si può prenderli in giro più di tanto. Così, alle volte, vale la pena di non dormire pur di stare dietro a un proprio desiderio. Si fa la schifezza e poi la si paga. E solo questo è davvero importante: che quando arriva il momento di pagare uno non pensi a scappare e stia lì, dignitosamente, a pagare. Solo questo è importante.
Pehnt stette un pò a pensare.
- Ma quante volte lo si può fare?
- Cosa?
- Fare schifezze.
- Non troppe, se si vuole riuscire a dormire ogni tanto.
- Dieci? - Magari un po' meno. Se sono vere schifezze, un pò meno.
- Cinque?
- Diciamo due... poi se ne scappa qualcun'altra...
- Due?
- Due. Pehnt scese dalla sedia. [...] Tirò fuoi da una tasca della giacca un quadernettoo viola. [...]
Lentamente e con meticolosa fatica Pehnt iniziò a scrivere:
280. Schifezze - un paio nella vita.
Stette un attimo a pensare. Andò a capo.
Poi si pagano.
[A. Baricco, Castelli di rabbia]

23 luglio 2010

Nessun dolore

Tre sere fa l'ho rivisto.
Ci siamo incontrati ad una festa di compleanno, seduti allo stesso tavolo.
La sua ragazza di fronte a me, lui alla sua destra.
Lui, il ragazzo per cui tempo fa mi ero presa una bella sbandata. Beh diciamo molto tempo fa, possiamo dire che la cosa risale al periodo adolescenziale, anche se gli "strascichi" si sono fatti sentire a lungo, riacutizzandosi quando ci rivedevamo o quando, un paio di anni fa, una mia amica, la mia migliore amica, ci si è messa insieme. GELOSIA VERDE. Ma lei non era al corrente della mia ex (poi mica tanto) cotta, quindi non gliene faccio una colpa.
Fatto sta che non avrei mai pensato di dimenticarlo, di toglirmelo completamente dalla testa. Ho sempre creduto che in qualche modo gli sarei rimasta legata, sempre...
E invece succede. Non sai come, non sai quando è accaduto, ma succede. Lo rivedo e niente, non sento niente. Niente. Nessuna emozione, nessuna attrazione, nessun ricordo che riaffiora, nessuna farfalla nello stomaco. Anzi, ci mettiamo a scherzare come amici di vecchia data, e io mi sento tranquilla, sicura di me, simpatica e spontanea tanto che coinvolgo anche la sua ragazza nei nostri discorsi, e insieme ridiamo, beviamo e passiamo una piacevole serata. Lei è simpatica, a modo, una bella persona, non mi dispiacerebbe diventarne amica (sono impazzita del tutto, già!).
Mi sento anche un pò strana e in colpa di non sentire niente, se ripenso a quanto spazio gli ho dato nei miei pensieri, nei miei sogni, a quanto ho fantasticato sul noi, quel noi di cui ero perfettamente consapevole l'impossibilità ad essere.
"non sento niente no, adesso niente no, nessun dolore... non c'è tensione, non c'è emozione, nessun dolore..."
Non l'avrei mai detto. Succede.

13 luglio 2010

Ladro cleptomane.

Oggi mi sono fermata a riflettere sui dettagli. Sull'enorme valore che hanno. Piccole ma significative differenze: ad un occhio inesperto sembrano sottigliezze, ma a ben vedere nascondono diversità immense.
Prendiamo l'atto del rubare: l'atto è il medesimo, sia che si tratti di furto commesso da un ladro, sia che si tratti dell'espressione di un disagio da parte di un cleptomane. E vi sembra che si tratti ancora dello stesso atto? Possiamo mettere sullo stesso piano chi ruba e chi ha un problema psicologico?
Spesso vengo tacciata, specialmente dai miei amici, di pignoleria. Di essere una precisa, un pò perfettina. Ebbene sì, lo sono e non me ne vergogno. Nella professione che ho scelto per il mio futuro, essere una psicologa appunto, i dettagli sono fondamentali. E' tutto lì. Piccole incrinazioni della voce, i ritardi, l'esitare nella risposta, il divagare, i lapsus, la scelta delle parole, le emozioni esternate, sono tutti segni che devono essere indagati. Ma prima di tutto devono essere captati. Individuati.
Siamo come degli investigatori... dobbiamo esaminare sì la situazione in toto che ci si presenta davanti, ma per definirla, per comprenderla, dobbiamo andare alla ricerca degli indizi. Come dei cani che aguzzano le orecchie, che fiutano il vento. Un piccolo dettaglio, che all'apparenza potrebbe sembrare irrilevante, ha la facoltà di poter cambiare completamente il quadro. Affascinante, no?
E per questo ci vuole un buon spirito di osservazione: come per i detective, appunto. Non tralasciare niente, non farsi sfuggire niente. Osservare, senza influenzare, senza condizionare, ascoltare così come ci viene presentato stando però ben attenti, ben pronti a coglierlo. A cogliere lui, IL dettaglio.
Oh sì. Amo i dettagli.

6 luglio 2010

Iperprotezione

Mamma, partoriscimi
espellimi
lasciami andare.
Liberati di me.
Io sono pronta.
E' l'ora.

1 luglio 2010

Quanta vite passano in un libro?

Stringo tra le mani un libro preso in prestito dalla biblioteca. Comincio a leggerlo e, pur essendo un romanzo rinomato, non mi colpisce particolarmente; non per questo demordo, e continuo la mia lettura. D'un tratto mi fermo, e sfoglio le pagine fino ad arrivare all'ultima, dove vengono segnate le date-limite per la restituzione. E comincio a leggere: la prima risale all'ottobre 1988, poi novembre '88, febbraio '89, e da lì a seguire per altre quattordici date, fino ad arrivare all'ultima, la mia. 8/7/2010.
Così un pensiero.. chi sono queste persone che mi hanno preceduto? Erano giovani, uomini, ragazze, casalinghe con la passione per la lettura, professori in pensione, studenti incuriositi dal titolo? Che pensavano di trovare, scegliendo un libro chiamato La vita è altrove? Cosa speravano, dove volevano essere a vivere la loro esistenza? Cosa li ha spinti a credere che la loro vita non fosse questa qui, quella che si ostinavano a portare avanti ormai da tempo, dal momento che è l'unica che abbiamo? Cosa gli è capitato per indurli a riflettere sul fatto che potevano essere più felici altrove?
E siamo a quota diciassette. Ma magari lo hanno anche prestato a loro conoscenti, ad un parente, ad un amico, prima di riportarlo indietro al suo posto, pronto per sgattaiolare di nuovo ed essere toccato da altre mani, a respirare altri odori.
E pensiamo a chi il libro lo ha maneggiato in quella biblioteca dal lontano 1988. Impiegati che lo hanno spostato, perso, ritrovato, che ne hanno rincollato i bordi, classificato, messo in magazzino per poi essere rispolverato, impiegati che si sono succeduti nel tempo, lasciando su di esso piccole tracce impercettibili che ne fanno la storia, che ne segnano il percorso, così come incastrate vi sono rimaste pezzi di vita dei lettori che se lo sono passato, una briciola, una ciglia, una lacrima ormai secca, un respiro. Lì fra le parole, a fargli compagnia, fra una virgola ed un apostrofo ormai sbiadito.
E chi ha reso queste parole, libro? Pensiamo a chi ci ha lavorato, a chi ha avuto l'idea, a chi lo ha scritto, all'autore, ai suoi famigliari, amici, persone care che ne hanno più o meno influenzato la stesura; pensiamo a chi lo ha tradotto, a chi lo ha battuto a macchina, a chi lo ha materialmente prodotto. Pensiamo a chi lo ha pubblicato, a chi lo ha distribuito, a chi lo ha traportato per consegnarlo in biblioteca, a chi lo stringe fra le mani adesso. A chi lo stringerà domani.
Infinite. Sono infinite.

27 giugno 2010

Am I.

Perchè sono quel che sono? Cos'è che mi ha fatto diventare così?
Oggi su facebook mi hanno taggato in una foto che una amica buontempona ha tirato fuori da un album datato probabilmente 1996/7. Eravamo ad una gita in montagna, ed ecco che tra i boschi spunta questa allegra combriccola tra cui non si può non notare questa pallina con i capelli mossi, vestita in modo obrobrioso (ma in fondo anche gli altri mi fanno concorrenza). Sorridiamo, ma mentre gli altri si abbracciano e si stringono a formare un gruppo, io sono un pò più distante. Già da allora, evidentemente, non mi sentivo completamente parte dei miei coetanei.
Penso a quella distanza, che in questi anni si è sempre più allargata, lasciandomi fuori dal confine. Probabilmente, anzi certamente, la causa della distanza sono io. La mia voglia di non confondermi con gli altri, di essere diversa. No, non voglia. Necessità. Il non poter fare a meno di rimanere un passo indietro dagli altri. E questa cosa, se per una piccolissima parte mi piace, perchè mi rende appunto "diversa", dall'altra mi riempe di tristezza e infelicità. Mi sono sentita sempre così, sono tuttora qui, fuori dalla finestra, ad osservare gli altri, ragazzi e ragazze che si divertono, ridono, scherzano, fanno festa in quella casa, e lei, 21 grammi, che ha anche l'invito (!), ma che non ha il coraggio di bussare, di suonare il campanello e di stare in mezzo a loro. Perchè tra loro si sente estranea, a disagio, non sa mai che cosa dire, quali gesti compiere. Chi non mi conosce pensa che sono una persona simpatica ed estroversa, forse un pò impacciata ma nel complesso di buona compagnia. E lo sono davvero quando sono in mezzo agli altri, ma questo mi costa una fatica immane. Lo sento proprio questa stanchezza di apparire gentile e cordiale, quando poi a fine serata mi posso liberare della mia maschera. Ed è lì che spunta una persona ugualmente simpatica e gentile, ma in maniera naturale, spontanea. Ecco, io in mezzo agli altri non mi sento spontanea. Fosse per me mi chiuderei nella mia timidezza, passerei la serata isolata dal gruppo, ma poi per non fare la figura della "gnorri" mi rendo estroversa, con il risultato che gli altri mi trovano simpatica, e l'unica che non si diverte sono io, sempre preoccupata a quello che devo dire, pensare, fare. E' per questo che molto spesso mi rifugio nel mio mondo, nei miei pensieri, nei miei libri, nella musica, dove posso essere me stessa, sentirmi bene facendo quello che mi piace. Ed è per questo che fuggo gli altri, e così facendo aumento la distanza che ci separa. Mi chiedo se questo sia dovuto a un qualche motivo particolare, quand'è che ho cominciato a mettere le distanze?
Ma non mi so rispondere.
"and I don't want the world to see me, 'cause I don't think that they'd understand.." [Iris, Goo Goo Dolls]

Glissare e Glassare

Mi piace questo termine, glissare. Scivolare dolcemente per non dover rispondere, giustificare, spiegare, informare, etc. Non è il rude "evitare", o l'indifferente "sorvolare", o il vigliacco "omettere".. insomma tra i suoi più o meno azzeccati sinonimi io lo preferisco su tutti. Glissssaaaare. Lievemente onomatopeico. Lo senti proprio che scivola, pattina soavemente sul ghiaccio con una leggiadria tale per cui la lastra che copre il lago non si romperà, permettendoci di non cadere nelle freddi acque e che gli abissi oscuri rimangano celati. Ancora.
Mi piace anche a livello fonetico... sarà che richiama il termine glassare. Ed essendo io una golosona (più del salato, a dir la verità!), vien da sè..! Che poi, a ben pensare, anche la glassa ricopre la torta, mascherando le impefezioni, addolcendo, ammorbidendo, zuccherando, lucidando..
Ma perchè questa tendenza a voler coprire, nascondere, velare? Che cosa c'è sotto?!

Mentre ci penso, mi preparo una torta.. và!

11 giugno 2010

3 volte

Si dice che il destino bussa sempre tre volte.
E tu, quante volte non l'hai sentito?
Mi spaventa. Mi spaventa il fatto che potrei averlo lasciato sfuggire, senza sapere neanche se ha davvero bussato.
Quante volte ho lasciato passare il treno? Quante volte non ho colto l'attimo? E poi chi ci dice se e quando ha già bussato? Magari noi siamo convinti di aver perso troppe occasioni, un invito rifiutato, una telefonata non fatta, aver rimandato una cena, e quelle non erano le nostre occasioni. E, disperati, rassegnati, non viviamo più ma ci lasciamo vivere, cullandoci nel ricordo di qualcosa che poteva essere e non è stato. Ignorando la vita che, invece, vorrebbe sorprenderci ancora. Oppure siamo certi che lui non abbia ancora picchiato sulla nostra porta, perchè se fosse stato così l'avremmo sentito, avremmo riconosciuto che era il nostro momento. L'avremmo capito. E invece l'ha fatto. L'ha fatto. Come possiamo saperlo? E se è successo, se in quel momento ero occupata? Se in quel momento ero presa dalle insignificanti faccende quotidiane e non ho sentito?
E se non ho voluto sentire?
Se mi fossi autoconvinta che non fosse lui, perchè avevo paura? Paura di aprire?
Paura.
Questa dannata sensazione che non ti lascia mai. Che è con te qualsiasi cosa tu stia facendo. Sto facendo bene? E' questo il mio cammino? E' questo quello che è stato scritto per me? Continuiamo a camminare, in questo vortice sempre più frenetico, più veloce, fatto di scadenze, orari, appuntamenti. Ma se tutto questo fosse perfettamente inutile? Se non fosse la nostra strada, e stessimo perdendo tempo prezioso? Forse è per questo che continuiamo convulsamente ad muoverci, a spostarci, ad avanzare. Forse perchè così facendo diventa difficile fermarsi a pensare. Impossibile. E questo ci protegge da risposte che non vogliamo darci. Domande che evitiamo di porci, di cui temiamo la risposta. Peggio, di cui conosciamo la risposta.
Andare, andare e andare.
Anche se non si sa bene dove.

E tu non ci sei

"













".

10 giugno 2010

Le mani, le sue. Pensiero stupendo.

Leggendo il post su un blog di un amico mi sono ricordata che alle superiori avevo fatto un tema sulle mani. L'argomento era libero e io avevo deciso di farlo su queste due che adesso battono sulla tastiera.. per la verità sono anche un pò timorose perchè i miei pensieri non fluiscono a getto costante.. quanto lo odio! Non potremmo avere pensieri che sono scanditi da un ritmo?! Invece no, ci sono dei vuoti, buchi neri a cui si alternano ondate gigantesche di parole che non riesci neanche a ricordare (maledetta memoria a breve termine e i suoi 7 +/- 2 chunks!) che sarebbero perfette, frasi poetiche degne di fare concorrenza ai più grandi letterati se solo potessero essere scritte così, appena pensate. Appena pescate dal grande cappello delle possibilità semantiche.
E' per questo che guardo sempre con un occhi diffidente i flussi di coscienza che troviamo scritti sui libri. Mi affascina da morire il fatto che quelli siano pensieri che si susseguono come capriole, che si palesano a noi così come sgorgano dalla sorgente mentale del personaggio; ma poi immancabilmente arriva il dubbio, o meglio la certezza. Quello non è un reale flusso di coscienza. Sono parole scritte con meticolosità e cura che l'autore vuole far passare come tale. Flussi di coscienza studiati, controllati, calibrati. Come dire, il bello di questa tecnica è la spontaneità e giusto quella viene a mancare. E noi che ci facciamo prendere per il culo. E allora ve lo propongo io un flusso di coscienza reale.. limitato solo dalla velocità della scrittura
ma che fai scrivi un post che ha un titolo che non ci azzecca niente con il contenuto mi sento in colpa ma che ci posso fare se ho inventato una scusa per rimanere a casa dicendo che venivano i mei zii quando non avevo voglia di vederlo ma lui non è un periodo che non mi ci trovo più bene e poi su facebook che schifo mi sono ridotta a rapporti sociali zero per stare ad aspettare che su facebook compaia quel qualcuno che che prurito al braccio fanculo zanzara di merda che non ti pensa manco per niente ah la pancia mi fa male devo aver bevuto troppa aranciata ma io neanche mi ci volevo iscrivere che serata ma non era meglio se uscivo invece che stare davanti a questo pc che mi fa fa male pure la testa e mi premono anche gli occhi devo tornare dall'oculista e
FINE.
(riletto dopo mezz'ora: ok, lo so, devo affinare la tecnica.. ma almeno è spontaneo!)

8 giugno 2010

Scrivere, un'esigenza.

Alcuni dicono che scrivere, per loro, sia un'esigenza.
Questo è il mio primo post, ho appena aperto il mio diario virtuale e potreste pensare che anche per me scrivere sia di vitale importanza. No. Io potrei farne anche a meno. Ma perchè fare a meno di un qualcosa che in fondo, ci fa stare bene? ..potrei fare a meno anche di mangiare la nutella, senza di lei vivrei ugualmente bene. Anzi forse meglio. Ma il punto è che mi piace. Mi piace mangiare la nutella. Mi piace posare su questa pagina macchioline nere che l'esperienza e l'apprendimento ci fa riconoscere come messaggi, come simboli di comunicazione. Ma comunicare non è il mio intento; io voglio esprimermi. Non voglio destinatari. Voglio affidare i miei pensieri al vento. Voglio espirare parole che si disperderanno nel flusso del mondo.
Leggere. Questo sì che è un'esigenza. Leggere per me non è la nutella.
Leggere è pane e acqua.