27 giugno 2010

Am I.

Perchè sono quel che sono? Cos'è che mi ha fatto diventare così?
Oggi su facebook mi hanno taggato in una foto che una amica buontempona ha tirato fuori da un album datato probabilmente 1996/7. Eravamo ad una gita in montagna, ed ecco che tra i boschi spunta questa allegra combriccola tra cui non si può non notare questa pallina con i capelli mossi, vestita in modo obrobrioso (ma in fondo anche gli altri mi fanno concorrenza). Sorridiamo, ma mentre gli altri si abbracciano e si stringono a formare un gruppo, io sono un pò più distante. Già da allora, evidentemente, non mi sentivo completamente parte dei miei coetanei.
Penso a quella distanza, che in questi anni si è sempre più allargata, lasciandomi fuori dal confine. Probabilmente, anzi certamente, la causa della distanza sono io. La mia voglia di non confondermi con gli altri, di essere diversa. No, non voglia. Necessità. Il non poter fare a meno di rimanere un passo indietro dagli altri. E questa cosa, se per una piccolissima parte mi piace, perchè mi rende appunto "diversa", dall'altra mi riempe di tristezza e infelicità. Mi sono sentita sempre così, sono tuttora qui, fuori dalla finestra, ad osservare gli altri, ragazzi e ragazze che si divertono, ridono, scherzano, fanno festa in quella casa, e lei, 21 grammi, che ha anche l'invito (!), ma che non ha il coraggio di bussare, di suonare il campanello e di stare in mezzo a loro. Perchè tra loro si sente estranea, a disagio, non sa mai che cosa dire, quali gesti compiere. Chi non mi conosce pensa che sono una persona simpatica ed estroversa, forse un pò impacciata ma nel complesso di buona compagnia. E lo sono davvero quando sono in mezzo agli altri, ma questo mi costa una fatica immane. Lo sento proprio questa stanchezza di apparire gentile e cordiale, quando poi a fine serata mi posso liberare della mia maschera. Ed è lì che spunta una persona ugualmente simpatica e gentile, ma in maniera naturale, spontanea. Ecco, io in mezzo agli altri non mi sento spontanea. Fosse per me mi chiuderei nella mia timidezza, passerei la serata isolata dal gruppo, ma poi per non fare la figura della "gnorri" mi rendo estroversa, con il risultato che gli altri mi trovano simpatica, e l'unica che non si diverte sono io, sempre preoccupata a quello che devo dire, pensare, fare. E' per questo che molto spesso mi rifugio nel mio mondo, nei miei pensieri, nei miei libri, nella musica, dove posso essere me stessa, sentirmi bene facendo quello che mi piace. Ed è per questo che fuggo gli altri, e così facendo aumento la distanza che ci separa. Mi chiedo se questo sia dovuto a un qualche motivo particolare, quand'è che ho cominciato a mettere le distanze?
Ma non mi so rispondere.
"and I don't want the world to see me, 'cause I don't think that they'd understand.." [Iris, Goo Goo Dolls]

Glissare e Glassare

Mi piace questo termine, glissare. Scivolare dolcemente per non dover rispondere, giustificare, spiegare, informare, etc. Non è il rude "evitare", o l'indifferente "sorvolare", o il vigliacco "omettere".. insomma tra i suoi più o meno azzeccati sinonimi io lo preferisco su tutti. Glissssaaaare. Lievemente onomatopeico. Lo senti proprio che scivola, pattina soavemente sul ghiaccio con una leggiadria tale per cui la lastra che copre il lago non si romperà, permettendoci di non cadere nelle freddi acque e che gli abissi oscuri rimangano celati. Ancora.
Mi piace anche a livello fonetico... sarà che richiama il termine glassare. Ed essendo io una golosona (più del salato, a dir la verità!), vien da sè..! Che poi, a ben pensare, anche la glassa ricopre la torta, mascherando le impefezioni, addolcendo, ammorbidendo, zuccherando, lucidando..
Ma perchè questa tendenza a voler coprire, nascondere, velare? Che cosa c'è sotto?!

Mentre ci penso, mi preparo una torta.. và!

11 giugno 2010

3 volte

Si dice che il destino bussa sempre tre volte.
E tu, quante volte non l'hai sentito?
Mi spaventa. Mi spaventa il fatto che potrei averlo lasciato sfuggire, senza sapere neanche se ha davvero bussato.
Quante volte ho lasciato passare il treno? Quante volte non ho colto l'attimo? E poi chi ci dice se e quando ha già bussato? Magari noi siamo convinti di aver perso troppe occasioni, un invito rifiutato, una telefonata non fatta, aver rimandato una cena, e quelle non erano le nostre occasioni. E, disperati, rassegnati, non viviamo più ma ci lasciamo vivere, cullandoci nel ricordo di qualcosa che poteva essere e non è stato. Ignorando la vita che, invece, vorrebbe sorprenderci ancora. Oppure siamo certi che lui non abbia ancora picchiato sulla nostra porta, perchè se fosse stato così l'avremmo sentito, avremmo riconosciuto che era il nostro momento. L'avremmo capito. E invece l'ha fatto. L'ha fatto. Come possiamo saperlo? E se è successo, se in quel momento ero occupata? Se in quel momento ero presa dalle insignificanti faccende quotidiane e non ho sentito?
E se non ho voluto sentire?
Se mi fossi autoconvinta che non fosse lui, perchè avevo paura? Paura di aprire?
Paura.
Questa dannata sensazione che non ti lascia mai. Che è con te qualsiasi cosa tu stia facendo. Sto facendo bene? E' questo il mio cammino? E' questo quello che è stato scritto per me? Continuiamo a camminare, in questo vortice sempre più frenetico, più veloce, fatto di scadenze, orari, appuntamenti. Ma se tutto questo fosse perfettamente inutile? Se non fosse la nostra strada, e stessimo perdendo tempo prezioso? Forse è per questo che continuiamo convulsamente ad muoverci, a spostarci, ad avanzare. Forse perchè così facendo diventa difficile fermarsi a pensare. Impossibile. E questo ci protegge da risposte che non vogliamo darci. Domande che evitiamo di porci, di cui temiamo la risposta. Peggio, di cui conosciamo la risposta.
Andare, andare e andare.
Anche se non si sa bene dove.

E tu non ci sei

"













".

10 giugno 2010

Le mani, le sue. Pensiero stupendo.

Leggendo il post su un blog di un amico mi sono ricordata che alle superiori avevo fatto un tema sulle mani. L'argomento era libero e io avevo deciso di farlo su queste due che adesso battono sulla tastiera.. per la verità sono anche un pò timorose perchè i miei pensieri non fluiscono a getto costante.. quanto lo odio! Non potremmo avere pensieri che sono scanditi da un ritmo?! Invece no, ci sono dei vuoti, buchi neri a cui si alternano ondate gigantesche di parole che non riesci neanche a ricordare (maledetta memoria a breve termine e i suoi 7 +/- 2 chunks!) che sarebbero perfette, frasi poetiche degne di fare concorrenza ai più grandi letterati se solo potessero essere scritte così, appena pensate. Appena pescate dal grande cappello delle possibilità semantiche.
E' per questo che guardo sempre con un occhi diffidente i flussi di coscienza che troviamo scritti sui libri. Mi affascina da morire il fatto che quelli siano pensieri che si susseguono come capriole, che si palesano a noi così come sgorgano dalla sorgente mentale del personaggio; ma poi immancabilmente arriva il dubbio, o meglio la certezza. Quello non è un reale flusso di coscienza. Sono parole scritte con meticolosità e cura che l'autore vuole far passare come tale. Flussi di coscienza studiati, controllati, calibrati. Come dire, il bello di questa tecnica è la spontaneità e giusto quella viene a mancare. E noi che ci facciamo prendere per il culo. E allora ve lo propongo io un flusso di coscienza reale.. limitato solo dalla velocità della scrittura
ma che fai scrivi un post che ha un titolo che non ci azzecca niente con il contenuto mi sento in colpa ma che ci posso fare se ho inventato una scusa per rimanere a casa dicendo che venivano i mei zii quando non avevo voglia di vederlo ma lui non è un periodo che non mi ci trovo più bene e poi su facebook che schifo mi sono ridotta a rapporti sociali zero per stare ad aspettare che su facebook compaia quel qualcuno che che prurito al braccio fanculo zanzara di merda che non ti pensa manco per niente ah la pancia mi fa male devo aver bevuto troppa aranciata ma io neanche mi ci volevo iscrivere che serata ma non era meglio se uscivo invece che stare davanti a questo pc che mi fa fa male pure la testa e mi premono anche gli occhi devo tornare dall'oculista e
FINE.
(riletto dopo mezz'ora: ok, lo so, devo affinare la tecnica.. ma almeno è spontaneo!)

8 giugno 2010

Scrivere, un'esigenza.

Alcuni dicono che scrivere, per loro, sia un'esigenza.
Questo è il mio primo post, ho appena aperto il mio diario virtuale e potreste pensare che anche per me scrivere sia di vitale importanza. No. Io potrei farne anche a meno. Ma perchè fare a meno di un qualcosa che in fondo, ci fa stare bene? ..potrei fare a meno anche di mangiare la nutella, senza di lei vivrei ugualmente bene. Anzi forse meglio. Ma il punto è che mi piace. Mi piace mangiare la nutella. Mi piace posare su questa pagina macchioline nere che l'esperienza e l'apprendimento ci fa riconoscere come messaggi, come simboli di comunicazione. Ma comunicare non è il mio intento; io voglio esprimermi. Non voglio destinatari. Voglio affidare i miei pensieri al vento. Voglio espirare parole che si disperderanno nel flusso del mondo.
Leggere. Questo sì che è un'esigenza. Leggere per me non è la nutella.
Leggere è pane e acqua.