13 ottobre 2011

Andrea

Andrea è un obiettore di coscienza. Nel 2002, ancora con l'obbligo di leva, decide di rinunciare alla naja perché pensa che la guerra sia sbagliata, sempre e comunque.
Lo trovi in ospedale, a scontare i mesi che l'avrebbero dovuto preparare ad uccidere, perché decide di dedicare quello stesso tempo alla Vita.
Aiuta il personale infermieristico, Andrea, assegnato suo malgrado al reparto di Ginecologia e Ostetricia, tanto per complicargli un po' le cose, pensa. Con l'imbarazzo che qualsiasi diciannovenne avrebbe avuto nel portare in giro provette di Pap-test appena fatti.

Entra tutto trafelato nella tua stanza, in preda ad un'estasi improvvisa.
Se fossi stato una sedicenne con una menometrorragia che durava ormai da settimane, l'avresti conosciuto anche tu. Ti saresti abituato alla familiarità del suo viso, e lui al tuo. Al fatto di rivedere un viso amico, tutti i giorni.
Vi sareste fatti forza a vicenda, soltato con gli sguardi, due pesciolini che nuotavano alla meno peggio in un mare che non era il loro, che non gli apparteneva.
Ti avrebbe trovata un po' strana, perché il tempo che non passavi a dormire, sfinita dall'anemia, lo impiegavi a fare l'uncinetto, nella sala d'aspetto. Non avrebbe potuto sapere, però, forse solo intuire, che stavi lì per lui, per vederlo anche solo di sfuggita, correre da una parte e dall'altra in base alle richieste dei medici. Altro che militare!
Se fossi stato quella sedicenne, ti avrebbe accompagnata a fare degli esami, e gli avresti vomitato sopra. Lui avrebbe pulito, sorridendo, mentre tu ti saresti scusata, in imbarazzo.
In alcuni, diciamo pure in parecchi giorni, gli avresti prestato poca attenzione. Ma lì per lì non non avresti potuto fare altrimenti. Saresti stata troppo male anche solo per sorridergli.
Nel dormiveglia, però, avresti ascoltato comunque la sua voce.
Perché lui sarebbe comunque passato a salutarti, e se non avesse potuto parlare con te, l'avrebbe fatto con tua mamma, che ormai faceva da chioccia anche a lui.
Le avrebbe raccontato che studiava al conservatorio, e nove anni dopo non ricorderesti più se suonava la viola o il violoncello. E anche tu, se fossi stato quella sedicenne, ancora piena di preconcetti, l'avresti trovato un po' strano per questo.
Avresti sentito come parlava delle sue sorelle e dei suoi nipotini,  di quelle piccole pesti che lo aspettavano nella casa paterna, che gli si buttavano in braccio chiamandolo 'zio'. Inorgoglito.
L'avresti conosciuto attraverso quei racconti, e ti saresti chiesta se lui sapesse o meno che tu stavi ascoltando, anche se gli davi la schiena.
Ti saresti asciugata i capelli una sera, sul letto, e lui sarebbe passato nel corridoio e avrebbe buttato un occhio nella porta, mentre proseguiva. Sarebbe tornato indietro, fermato, avrebbe guardato i tuoi capelli che volavano all'insù e avrebbe detto: "sei un sole".
E tu non l'avresti preso sul serio, fino a che i suoi occhi non te lo avessero confermato.

Sarebbe entrato un pomeriggio nella tua stanza, tutto trafelato ma in estasi. Tu non avresti avuto la forza per parlare, e l'avrebbe fatto tua mamma per te, chiedendogli cosa fosse successo.
Lui, cercando di riprendersi, avrebbe detto che aveva assistito, per caso, all'evento più intenso della sua vita. E lo avrebbe fatto mentre era ancora commosso, mentre balbettava perché ancora pieno di emozione. Passava davanti alla sala parto, e proprio in quel momento, tra le urla della madre, aveva visto uscire il bambino. Sgusciato via dalle sue gambe, preso dall'ostetrica, prendeva il primo respiro della sua nascente vita. Il primo pianto.
E ti saresti stupita, perché un qualsiasi diciannovenne avrebbe raccontato del sangue, sarebbe corso via schifato.


Ma non Andrea.
I suoi occhi dicevano altro, parlavano del Miracolo della Vita.

Se fossi stato quella sedicenne, ogni tanto ti chiederesti che fine abbia fatto Andrea. Ti chiederesti perché, quando sei tornata in reparto per dei controlli, un mese dopo, non l'hai più trovato. Ti chiederesti come trascorre le sue giornate, se è diventato un musicista professionista, se ha avuto dei bambini suoi, di cui avrebbe parlato con la stessa emozione che riservava ai nipoti.
Ti chiederesti se non è il caso di cercarlo, Andrea. Anche solo per ringraziarlo di ogni suo piccolo gesto, di una caramella che ti ha addolcito la giornata, di un the che ti ha riscaldato. O forse era il suo sorriso.
E cercheresti la risposta, facendo passare altro tempo, ricordandolo nella sua tenerezza, e dedicandogli un post sul tuo blog privato.

5 ottobre 2011

respiriamo profondamente come i monaci buddhisti,
per non farsi andare di traverso l'universo.
[V. Brondi]